mercoledì 18 maggio 2011

MUSICA
Government Hooker


GAGA, GA-OOOOOO-AHH
GAGA, GA-OOOOOOOOO
Io Ritorne
Io Ritorne
Io Ritorne
Io Ritorne
GOVERNMENT HOOKER-EeH

I can be good
(If you just wanna be bad)
I can be cool
(If you just wanna be mad)
I can be anything
I'll be your everything
Just touch me baby
(I don't wanna be sad)

As long as I'm your hooker
(Back up and turn around)
As long as I'm your hooker!
(Put your hands on the ground!)
As long as I'm your hooker
(Back up and turn around)
As long as I'm your hooker!
(Get down!)

Hoo-ooker
(Yeah, You're my hooker)
Hoo-ooker
(Government Hooker)
Hoo-ooker
(Yeah, You're my hooker)
Hoo-ooker
(Government Hooker)

I'm gonna drink my tears tonight
I'm gonna drink my tears and cry
Cuz I know you love me baby
I know you love me baby

I could be girl
(Unless you want to be man)
I could be sex
(Unless you want to hold hands)
I could be anything
I could be everything
( i could i could )
I could be mom
(Unless you want to be dad)
(hello papito)

As long as I'm your hooker
(Back up and turn around)
As long as I'm your hooker!
(Put your hands on the ground!)

As long as I'm you're hooker
(Back up and turn around)
As long as I'm your hooker!
(Get down!)

Hoo-ooker
(Yeah, You're my hooker)
Hoo-ooker
(Government Hooker)
Hoo-ooker
(Yeah, You're my hooker)
Hoo-ooker
(Government Hooker)

Put your hands on me
John F. Kennedy
I'll make you squeal baby
As long as you pay me (AW)

I'm gonna drink my tears tonight
I'm gonna drink my tears and cry
Cause I know you love me baby
I know you love me baby!

Hoo-ooker
(Yeah, You're my hooker)
Hoo-ooker
(Government Hooker)
Hoo-ooker
(Yeah, You're my hooker)
Hoo-ooker
(Government Hooker)

I could be girl
(Unless you want to be man)
I could be sex
(Unless you want to hold hands)
I could be anything
I could be everything
I could be mom
(Unless you want to be dad)

I wanna fuck government hooker
(Back up and turn around)
Stop shitin me government hooker
(Put your hands on the ground!)
I wanna fuck government hooker
(Back up and turn around)
Stop shitn me government hooker
(Get down!)

domenica 8 maggio 2011

LIBRI
Mathew Prichard parla di Agatha Christie

Una selezione delle opere di Agatha Christie curata da suo nipote ci mostra il talento di una vera regina. I suoi ricordi personali e una biografia definitiva ci mostrano una Agatha Christie oculata e sensibile.





Secondo il Guinness dei primati Agatha Christie è l'autrice più letta di tutti i tempi. Secondo chi la conosceva, era anche una persona estremamente umile. Lei che è suo nipote, che ricordi ha di sua nonna?
Era una nonna amorevole, che non amava stare al centro dell'attenzione. Non le interessava il successo. Quando ci radunavamo era una persona come tutte le altre, piena di amore. Una donna sempre pronta ad ascoltare ciò che gli altri avevano da dire, piuttosto che a parlare di sé. Un comportamento che dovremmo tutti adottare oggigiorno.
Era incredibile. Ormai è da un po' che mi occupo di lei dal punto di vista commerciale (libri, cinema e TV). Mi chiedo spesso in che modo sarebbe riuscita ad adeguarsi alle tecnologie moderne. Credo che avrebbe accettato di buon grado le sfide di oggi legate ai computer, alla comunicazione e alle varie rappresentazioni visive delle sue opere.

In base a quali criteri ha scelto questi cinque romanzi?
È stato praticamente impossibile sceglierne cinque, ma sempre meglio che sceglierne uno solo. Amo da sempre i primi romanzi con Miss Marple e pertanto ho scelto uno di questi e uno con protagonista Poirot. Ho scelto anche il mio romanzo preferito tra quelli in cui non compaiono questi due personaggi. Poi ho scelto un racconto, che mi offre la possibilità di parlare delle sue opere teatrali. Infine ho scelto una biografia. Credo che questi cinque libri rappresentino la summa della sua opera.

Mi piace che come primo libro abbia scelto Nella mia fine è il mio principio, tra i meno conosciuti, ma sicuramente tra i più avvincenti.
Il libro parla di tre giovani. Mia nonna lo scrisse quando aveva già compiuto 70 anni. Negli anni '60 frequentavo molto spesso mia nonna, poiché studiavo a Oxford, non lontano da dove viveva. Quando andavo a trovarla portavo i miei amici con me, spesso per il pranzo della domenica, e credo di averle presentato anche la mia fidanzata. Sembrava tutto fuorché una donna anziana. Era sempre interessata a ciò che facevamo, affascinata dai nostri rapporti. Non ci ha mai giudicato.
Per fortuna non ha "copiato" nessun personaggio reale in Nella mia fine è il mio principio, ma a un certo punto del romanzo spiega che tutto ruota attorno alle relazioni. A mio parere, si tratta di un libro estremamente moderno e umano. È stato sicuramente difficile per lei scrivere di persone di 50 anni più giovani di lei e non sto parlando solo a livello di trama. Il romanzo illustra la sua interpretazione del Male come una delle forze che regolano il mondo.

La trama è in effetti straordinaria.
Sì, certo, ma questo vale per la maggior parte delle sue opere. Se avessi dovuto effettuare una scelta in base alla qualità delle sue trame, non sarei riuscito a limitarmi a cinque.

Ha ragione. Ho letto molti gialli e thriller, ma dal punto di vista della trama non credo che nessuno sia stato all'altezza di sua nonna. Qualcuno ci prova, ma...
È uno dei motivi per cui i suoi libri hanno superato la prova del tempo. Mia moglie è morta cinque o sei anni fa e ora ho sposato una donna più giovane, con nipoti appena adolescenti che amano Agatha Christie indipendentemente dal mio ingresso nella loro vita.

Il secondo romanzo che ha scelto è La serie infernale, nella versione integrale dell'audiolibro letta da Hugh Fraser (il capitano Hastings nella serie televisiva di Poirot, NdT). Come mai ha scelto questa edizione?
Ho pensato che sarebbe stato interessante inserire un audiolibro. Agatha Christie è una delle poche autrice ad aver venduto più audiolibri nella versione integrale rispetto alla versione ridotta. Questo la dice lunga sulla qualità dei suoi scritti e sulla difficoltà nel ridurre i romanzi investigativi. Non puoi escludere le false piste. Hugh Fraser è un lettore sbalorditivo. In un certo senso si tratta del caso più complesso per Poirot. Dopo averlo letto viene spontaneo chiudere il libro e chiedersi: "Come diavolo ho fatto a non pensarci prima?"
C'era sempre una copia della guida ferroviaria accanto al telefono di mia nonna (l'"ABC Railway Guide", da cui il titolo originale "The ABC Murders", NdT). Sono sicuro che l'idea le sia venuta proprio da lì. Mi sembra di vederla seduta accanto al telefono, mentre parla al telefono con un'amica, l'occhio che le cade sulla guida e nella sua mente inizia a prendere forma la trama. È sempre stato uno dei romanzi di Poirot che preferisco, con un'ottima versione televisiva interpretata da David Suchet.

È vero che sua nonna si stancò di Poirot?
Sì. La leggenda narra che abbia scritto il suo ultimo romanzo con Poirot, che si conclude in modo piuttosto amaro per il piccolo belga, negli anni '40. Il suo agente e il suo editore la convinsero a mettere il manoscritto nel cassetto, che rimase inedito per 30 anni. Parte del fascino di Poirot consiste effettivamente nella sua arroganza e pedanteria. Non sopporta di mangiare uova sode di dimensioni diverse ed è vestito in modo particolare. Se scrivi di un personaggio così, prima o poi finirai per detestarlo. L'altro motivo per cui lo odiava non ha nulla a che fare con il personaggio. La mente di mia nonna era in continuo movimento ed escogitava trame e racconti che mal si adattavano a Poirot. Moriva dalla voglia di scriverli, ma quando chiamava il suo agente o il suo editore negli anni '40, al massimo della popolarità di Poirot, si sentiva rispondere: "Fantastico, signora Christie, ma perché non scrive un'altra opera su Poirot"?. Credo la cosa le desse immensamente fastidio.
Scrisse molti romanzi senza Poirot o Miss Marple, tra cui Nella mia fine è il mio principio e il romanzo di cui va più fiera, È un problema. Voleva scrivere altre storie su questo genere. Negli anni '50 non riusciva a scrivere effettivamente quello che avrebbe voluto.

Passiamo a Un delitto avrà luogo.
L'ho scelto perché ritengo sia un romanzo con Miss Marple tra i migliori. L'assassino è uno dei miei preferiti, agisce a tratti in modo prevedibile o assolutamente imprevedibile. È ambientato in un villaggio della campagna inglese, il classico territorio d'azione di Miss Marple.
Ha tutti gli ingredienti per un libro di successo: un ottimo incipit e un ottimo finale. Molti produttori cinematografici si sono mostrati interessati ad acquistare i diritti di Un delitto avrà luogo, ma alla fine tutti vogliono utilizzare solo l'incipit e imboccare una strada completamente diversa. E per noi è ovviamente fuori discussione.

Mi ricordi come inizia.
Viene pubblicato un annuncio sul gazzettino locale: "Un delitto avrà luogo alle 18.30 a Little Paddocks". Mia nonna deve aver letto da qualche parte un annuncio e pensato: "Se lo cambio giusto un po', potrebbe diventare un incipit interessante".

Passiamo alla biografia di Laura Thompson. L'ha preferita all'autobiografia di sua nonna...
L'ho scelta in parte perché è stata scritta nel periodo in cui è morta mia madre. Sono stato una sorta di consulente per Laura, ma posso garantire di non averla minimamente influenzata. È un libro estremamente intelligente, migliore di tutti gli altri. Laura ha compreso esattamente la mente di mia nonna e il modo in cui considerava le sue opere. Offre in particolare un'analisi dettagliata dei romanzi scritti da mia nonna con lo pseudonimo di Mary Westmacott e il modo in cui questi scritti si relazionano alla sua vita. Nessun altro lo ha fatto.
Il complimento più bello è di mia figlia maggiore. Avevo inavvertitamente lasciato una copia ancora non pubblicata del libro a casa sua. Mi ha chiamato tre giorni dopo: "Ho letto il libro di Laura tutto d'un fiato. Ho scoperto moltissime cose della mia famiglia che ignoravo o non riuscivo a capire".
Il libro spiega in modo convincente la famosa sparizione di mia nonna, in modo delicato e sensibile, senza puntare l'accento sulla spettacolarità o soffermarsi a lungo sugli eventi. Credo che Laura comprenda l'infelicità. Si tratta di un'analisi onesta e vincente sulle varie fasi, alcune particolarmente dure, della vita di mia nonna.

Tutto sommato, ritiene che sua nonna fosse una persona felice?
Sì, credo di sì. E se esistesse un posto in grado di racchiudere tutta la sua felicità, quel posto sarebbe Greenway nel Devon, la villa che acquistò alla fine degli anni '30. È lì che abbiamo trascorso le nostre vacanze estive. Dalla fine di luglio ai primi di settembre ci radunavamo tutti lì: familiari, amici ristretti e i colleghi di Max Mallowan, il secondo marito di mia nonna. È un luogo incantevole e recentemente è entrato a far parte del National Trust. Se vi capita di passare dalle parti del Devon meridionale, potete andarlo a visitare. È uno dei posti più belli di tutta l'Inghilterra.
Le piaceva rilassarsi lì e cucinare. Non beveva alcolici. In quel periodo dell'anno in genere aveva concluso i suoi scavi archeologici e finito il suo nuovo romanzo, anche se a volte le capitava di correggere alcune bozze, ma Greenway era l'occasione per dedicarsi alla famiglia.

Parliamo di Testimone d'accusa.
È indubbiamente il racconto migliore che abbia scritto. È più conosciuta la versione teatrale, scritta dopo il racconto negli anni '50 e rappresentata nel West End subito dopo Trappola per topi. Credo che Testimone d'accusa sia effettivamente uno dei gialli teatrali migliori in assoluto. Ha un colpo di scena sensazionale. È provocatorio. E avventuroso. Chiunque abbia visto l'opera teatrale, provi a mettersi nei panni dell'autrice e a chiedersi come sia riuscita a escogitare una trama così eccezionale.
Mia nonna trovò estremamente affascinante l'adattamento dei suoi romanzi per il teatro. Per Testimone d'accusa, fu l'unica volta in cui vinse completamente la sua timidezza. Era del tutto assorbita dal suo lavoro. Ricordo che prese attivamente parte alle prove. Mantenne la trama fedele al massimo rispetto al romanzo. Non volle ascoltare chi le diceva che non ce l'avrebbe mai fatta. Alla prima al Winter Garden Theatre ci fu un'incredibile standing-ovation del pubblico. Lei era seduta su uno spalto, sopra il palco. Fu l'unica volta in cui la videro inchinarsi per ricevere gli applausi.

È attualmente in cartellone?
Abbiamo girato per tutto il Regno Unito, l'anno scorso, e abbiamo anche allestito un'altra opera, Verdetto. Soprattutto nelle province, le sue opere riscuotono un enorme successo poiché sono zeppe di enigmi e colpi di scena. Sono adatte per tutte le età. Testimone d'accusa è stato inoltre adattato per il grande schermo da Billy Wilder.

E quindi era una persona timida...
A livelli incredibili. Credo che la sua timidezza si riconduca al periodo infelice della sua vita in cui perse in rapida successione il suo primo marito e sua madre. Il periodo della sua famosa sparizione, per intenderci. Si sentiva inoltre pressata dalla stampa. Odiava essere riconosciuta nei ristoranti. Preferiva piuttosto circondarsi di parenti e amici. L'idea di andare in giro per il mondo a firmare autografi sui suoi libri la terrorizzava.

Per quale motivo ritiene che i suoi romanzi siano così popolari?
Me lo sono chiesto spesso. Voleva scrivere libri che divertissero i suoi lettori. Forse i suoi romanzi rappresentano una fuga dalla realtà. Credo che a volte mia nonna pensasse alle persone ricoverate negli ospedali (non dimenticate che è stata infermiera) e ai turisti impegnati in lunghi viaggi, come capitava spesso a lei. Non parlava spesso. Preferiva ascoltare e osservare le persone, come risulta evidente nelle sue opere. Sebbene i suoi personaggi possano sembrare apparentemente normali, hanno tutti qualcosa di particolare, reale. Un altro elemento estremamente accattivante dei suoi libri è legato alla loro brevità, in confronto a molti romanzi di oggi. Non richiedono una concentrazione infinita, ma la magia rimane intatta.

Vorrei concludere sottolineando che, per quanto si provi ad analizzare il successo di questi romanzi, rimane comunque un elemento parzialmente incomprensibile: ecco, questo per me si chiama "genio".


Intervista di
Sophie Roell
Data di pubblicazione: 24 febbraio 2011




Fonte: http://thebrowser.com/interviews/mathew-prichard-on-agatha-christie

mercoledì 4 maggio 2011

CINEMA
Piccola storia dello slasher e una recensione sulla saga di Halloween di Rob Zombie

Ci sono film horror che puntano biecamente all'effetto truculento, splatter e totalmente gratuito. Ci sono film horror che puntano a spaventare gli spettatori semplicemente alzando al massimo il volume degli effetti sonori. E poi ci sono film horror come Halloween di Rob Zombie. E sono tutta un'altra storia.

Gli slasher movie negli anni hanno subito un particolare processo di evoluzione. Tanto per cominciare, "Il genere denominato slasher (dall'inglese "To slash", ferire profondamente con un'arma affilata) si riferisce a quel gruppo di film horror in cui il protagonista indiscusso è un maniaco omicida (spesso mascherato) che dà la caccia ad un gruppo di persone (spesso giovani) in uno spazio più o meno delimitato, utilizzando in genere armi da taglio per ucciderli in modo cruento." (Wikipedia).
Due sono i capostipite degli slasher movie, entrambi statunitensi: Halloween, la notte delle streghe di John Carpenter e Venerdì 13 di Sean Cunningham (ma entrambi devono molto al Genio italiano di Mario Bava). Le due pellicole presentano notevoli momenti di tensione alternati a scene raccapriccianti e decisamente violente (su tutte, l'uccisione di un giovanissimo Kevin Bacon o la spaventosa e lunghissima sequenza di inseguimento e aggressione subita da una bellissima Jamie Lee Curtis). In pieni anni '80, lo slasher subisce tuttavia una svolta con la saga di Nightmare di Wes Craven: i toni si abbassano, la quantità di sangue si riduce drasticamente e subentra un nuovo, spiazzante elemento: l'ironia. Freddy Krueger diviene un'icona grazie al suo artiglio letale e al suo umorismo estremo, con cui colpisce le sue giovani vittime prima di aggredirle nei modi più fantasiosi. Il prodotto è ora commercializzato nel vero senso della parola e destinato a un pubblico di quasi tutte le età.

Dopo un lungo periodo di silenzio nel campo dell'horror, è proprio Wes Craven a creare nel 1996 la saga slasher cinematografica più redditizia della storia del cinema: Scream. Questa volta il carnefice è travestito da Urlo di Munch (in lingua originale il personaggio si chiama Ghostface), ma le regole dello slasher rimangono le stesse: giovani ragazzi e ragazze dagli ormoni impazziti in una ristretta comunità cittadina cadono vittima dello psicopatico di turno, incappucciato e armato di coltelli. Numerosissime le autocitazioni (altro elemento diffusissimo negli horror giovanili) e la vena comica è alle stelle.

Bisognerà attendere il 2003 per arrivare all'ultima (almeno per il momento) svolta nel genere: Marcus Niespel dirige Non aprite quella porta e inaugura la lunga stagione dei remake. Da questo momento in poi, lo slasher infrange tutte le regole del "buonismo commerciale" finora applicato: le immagini sono estreme, al limite del sopportabile, e i cast iniziano a vantare giovani stelle del cinema che in pochi anni diverranno veri e propri idoli dei ragazzi, ma con una marcia in più: sanno recitare e, soprattutto, urlare. La lunga sfilza di remake estremi coinvolge Non aprite quella porta: l'inizio, Le colline hanno gli occhi, Venerdì 13, Nightmare e la nuova saga che segue le gesta di Michael Myers, ovvero Halloween e Halloween II, entrambi diretti da Rob Zombie.

Nel 2003 Rob Zombie è sconosciuto al grande pubblico, ma piuttosto apprezzato nel genere Heavy Metal come leader degli White Zombie. È in quest'anno che decide di passare dietro la macchina da presa per dirigere il suo primo lungometraggio, il debole La casa dei 1000 corpi. Con il film successivo, La casa del diavolo, il regista inizia tuttavia a sparare le sue cartucce e mostrare un certo gusto cinematografico e a premere l'acceleratore sulla violenza a ogni costo, fino ad arrivare al 2007 con il remake di Halloween.

E già a questo punto si potrebbe sollevare un'obiezione: Halloween di Rob Zombie non è in tutto e per tutto un remake del capolavoro di John Carpenter, ma piuttosto una rivisitazione a tinte forti, in cui seguiamo le gesta di Michael Myers fin dalla sua infelice infanzia all'interno di una famiglia violenta e completamente abbandonata a se stessa. I soprusi e l'aria malsana respirata in casa Myers culmineranno in una vera e propria strage per mano del giovanissimo Michael che, in una lunga sequenza al limite del visivamente sostenibile, scatena tutta la sua furia su sua sorella, sul suo compagno e su suo padre. Al ritorno dal lavoro, la signora Myers troverà il figlio seduto sulle scale del patio, con in braccio la neonata sorellina scampata alla strage. Rinchiuso in manicomio, Michael porta dietro di sé la scia di rabbia e violenza che si abbatterà anche su un'infermiera e a poco sembrano servire le cure del medico a cui viene affidato, il dottor Loomis, interpretato superbamente da Malcolm McDowell, indimenticato Alex di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (nella versione originale il personaggio è interpretato da Donald Pleasance, attore specializzato nel cinema di genere, anche italiano). 15 anni dopo, la fuga di Michael durante il suo trasferimento a un altro ospedale psichiatrico permette al regista di introdurre il personaggio di Laurie Strode, che scopriremo essere la sorella del serial killer sopravvissuta alla strage. Michael intende portare a termine il suo piano, ma lascerà dietro di sé una scia di sangue, violenza e terrore fino all'iperbolica sequenza finale, in cui il protagonista finirà sotto le grinfie di Laurie in un climax catartico e decisamente estremo.

Il secondo capitolo si riapre esattamente dove il primo si era concluso, con la giovane Strode gravemente ferita e ricoperta di sangue mentre grida disperata la sua richiesta di aiuto. E se Laurie viene prontamente trasferita in ospedale, Michael, ritenuto morto, riesce a fuggire ancora una volta, grazie anche a una prestanza fisica impensabile e irraggiungibile per un comune essere umano, e a introdursi nell'ospedale in cui è ricoverata sua sorella. Da questo momento, il film svolta definitivamente in una lunga sequenza di violenze ed efferatezze probabilmente mai eguagliate sul grande schermo. E la bravura registica di Rob Zombie (in questo secondo capitolo ancora più evidente) è testimoniata dall'inserimento di argomenti sociali (lo sciacallaggio dei mass-media, pronti a sbattere il mostro in prima pagina o, come in questo caso, nelle pagine di un libro) e soprannaturali (l'eterea apparizione dello spettro della madre e di Michael adolescente, accompagnati da un cavallo bianco, simbolo di un irrefrenabile istinto a scatenare emozioni incontrollabili e rabbiose, come il caos e la distruzione), perfettamente integrati nelle scene di orrore, assolutamente giustificate dalla natura demoniaca di Myers, che incarna letteralmente il Male assoluto. E prima di giungere al regolamento di conti definitivo tra Michael e sua sorella, saremo testimoni di alcune sequenze agghiaccianti, rappresentate a titolo esemplificativo dall'omicidio di una ragazza ripetutamente scagliata contro uno specchio.

Prendere un mito come quello creato da John Carpenter e rimaneggiarlo e adattarlo a proprio piacimento rappresentava senza dubbio un'impresa rischiosa. Rob Zombie cattura l'idea, l'iconografia, l'indimenticabile colonna sonora originale e le sequenze salienti del film del 1978 e crea una propria saga in modo oculato, intelligente ed estremamente accurato nel delineare la psicologia dei personaggi, con una mano registica esperta e mai titubante, un montaggio al cardiopalma e una serie di attori assolutamente perfetti per incarnare il Male in azione (l'intera famiglia Myers) e il Bene contro cui si scaglia (eccellenti le performance di Scout Taylor-Compton nei panni della tormentata protagonista e Brad Dourif nel ruolo dello sceriffo Brackett che nel secondo capitolo adotterà la giovane Laurie, rimasta orfana, con esiti sconvolgenti). In conclusione, 200 minuti di orrore puro che non lasciano spazio ai rimpianti o alla sensazione di aver assistito a un brutto remake di quello che è, e resta a oltre 30 anni di distanza, un capolavoro della cinematografia horror.

martedì 3 maggio 2011

CINEMA
Macchie solari

Titolo originale Macchie solari
Paese di produzione Italia
Anno 1975
Durata 100 min
Regia Armando Crispino
Sceneggiatura Armando Crispino, Lucio Battistrada
Fotografia Carlo Carlini
Montaggio Daniele Alabiso
Musiche Ennio Morricone
Costumi Mario Ambrosino
Cast Mimsy Farmer, Barry Primus, Ray Lovelock, Carlo Cattaneo, Angela Goodwin, Gaby Wagner, Massimo Serato, Ernesto Colli, Leonardo Severini, Eleonora Morana, Antonio Casale, Giovanni Di Benedetto, Maria Pia Attanasio, Pier Giovanni Anchisi, Pupino Samona, Sergio Sinceri, Bruno Alias, Antonio Anelli, Massimo Ciprari, Cindy Girling, Carla Mancini, Giulio Massimini, Alessandra Vazzoler, Luciano Zanussi

C'è da chiedersi per quale motivo Armando Crispino si sia cimentato nel giallo all'italiana solo in due casi: L'etrusco uccide ancora del 1972 e questo Macchie solari del 1975. Entrambe le pellicole si contraddistinguono infatti per una certa ricercatezza registica e un'attenzione particolare allo svolgimento degli eventi che, a dire il vero, spesso latitano nel cinema italiano di genere degli anni '60 e '70. Nonostante le notevoli differenze che comunque caratterizzano i due film, un lietmotiv accomuna le opere di Crispino: una serie di eventi naturali utilizzati come pretesto per giustificare diabolici piani personali. In Macchie solari, infatti, il fenomeno naturale del titolo scatena un'ondata di suicidi nella città di Roma, magnificamente fotografata da Carlo Carlini, che trasmette l'afa e la tranquillità della capitale immersa in una torbida estate, con scorci e panorami del centro (Piazza Navona su tutti) che diventano coprotagonisti del film, contribuendo all'esito e alla qualità della pellicola.
Mimsy Farmer, regina del giallo e dell'horror all'italiana grazie a titoli quali Il profumo della signora in nero, Black cat e, su tutti, Quattro mosche di velluto grigio, è semplicemente perfetta nel raccontare al pubblico le fragilità di una donna con enormi problemi legati alla sfera sessuale e schiacciata da una figura paterna, all'opposto, fin troppo libertina. Il suo legame con il protagonista maschile del film, Ray Lovelock, è morboso, tormentato, pregno di erotismo soffocato e malato. Lo stress fisico e mentale della giovane viene accentuato soprattutto nelle sconvolgenti sequenze "fantastiche" di autopsia, con cadaveri redivivi ed estremamente attivi, che hanno valso alla pellicola il titolo Autopsy nel mercato statunitense. Particolarmente d'effetto anche la scena del tentativo di assassinio di Mimsy Farmer nel museo, tra manichini estremamente inquietanti e fucili impazziti, e la sequenza finale con omicidio/suicidio in una stanza chiusa, che ricorda da vicino l'analoga sequenza de Lo strano vizio della signora Wardh. E sempre parlando di analogie, impossibile non collegare la scena del padre della donna che, immobilizzato in ospedale, cerca di comunicare con gli occhi il nome del suo carnefice grazie a un sofisticatissimo, e piuttosto improbabile, macchinario, alla soluzione scientifica che permette di incastrare l'assassino nel già citato Quattro mosche di velluto grigio.

Ottimo rappresentante del cinema italiano che fu, Macchie solari promette un'ora e mezza di intrattenimento garantito, qualche brivido e un tuffo nelle atmosfere di un'Italia mai come in quegli anni così cinematografica.


CINEMA
Inferno

Titolo originale Inferno
Paese di produzione Italia, USA
Anno 1980
Durata 102 min
Regia Dario Argento
Sceneggiatura Dario Argento
Fotografia Romano Albani
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Keith Emerson
Scenografia Giuseppe Bassan
Costumi Massimo Lentini
Cast Leigh McCloskey, Eleonora Giorgi, Irene Miracle, Gabriele Lavia, Veronica Lazar, Leopoldo Mastelloni, Daria Nicolodi, Sacha Pitoeff, Alida Valli, Ania Pieroni, Feodor Chaliapin Jr.

Non so quanto mi costerà rompere ciò che noi alchimisti abbiamo sempre chiamato Silentium. L'esperienza dei nostri confratelli ci ammonisce a non turbare le menti profane con la nostra sapienza. Io, Varelli, architetto in Londra, ho conosciuto "Le Tre Madri" e per loro ho creato e costruito tre dimore: una a Roma, una a New York e l'altra a Friburgo, in Germania.
Dario Argento approfondisce in Inferno il mito delle Tre Madri, introdotto nel suo film precedente con Mater Suspiriorum, la madre dei sospiri. Visto l'incredibile successo della pellicola del 1977, Argento si tuffa nell'horror e nell'occulto in modo ancora più viscerale. Nel film, incentrato sulla disperata ricerca di Rose da parte di suo fratello Mark, sconvolto dopo aver ricevuto da lei una lettera incentrata sulle Tre madri che dominerebbero il mondo, la logica narrativa lascia il campo al grand-guignol e ai deliri stilistici che hanno giustamente incoronato Argento come Maestro del brivido italiano. Cromaticamente, il registra riprende gli eccessivi esperimenti di due anni prima e, se in Suspiria gioca con il rosso e il verde, in Inferno aggiunge il blu, in una tavolozza di colori che contribuiscono non poco ad aumentare il livello di tensione del film (come se ce ne fosse bisogno).
Per questa pellicola Argento ha scomodato ancora una volta nomi noti del cinema italiano per condannarli a una fine impietosa: Alida Valli, indimenticata Miss Tanner in Suspiria, interpreta la portinaia del palazzo in cui risiede la protagonista; Sacha Pitoeff è l'inquietante Kazanian, librario da cui Rose ha preso in prestito il libro delle Tre Madri; Eleonora Giorgi occupa lo schermo per pochi minuti ma si conquista una delle scene di morte più coreografiche, violente e spaventose di tutta la carriera del regista, assieme a Gabriele Lavia (che con Argento aveva già lavorato in Profondo Rosso), intervenuto invano in suo soccorso.
Le due protagoniste femminili, Irene Miracle e Daria Nicolodi, regalano agli spettatori due personaggi fragili, delicati, vittime ideali delle forze dell'Occulto. La prima interpreta la scena culto del film (e una delle più rappresentative del cinema di Dario Argento). Calatasi nelle fogne di New York dopo essere stata attirata dai contenuti del libro dell'alchimista Varelli, secondo il quale Mater Tenebrarum, la Madre delle Tenebre, si troverebbe nei sotterranei della metropoli statunitense, Rose perde un mazzo di chiavi in una pozza e, contro qualsiasi logica di buon senso, si immerge per recuperarlo, scoprendo sott'acqua un appartamento sommerso... e non esattamente disabitato. La musa ispiratrice del regista interpreta invece Elise, un'aristocratica immobilizzata nel palazzo da una malattia che, nel tentativo di aiutare Mark a ritrovare sua sorella, finirà vittima di un branco di gatti.
Disponibile in varie edizioni homevideo, Inferno è un piccolo capolavoro in passato troppo sottovalutato ed estremamente godibile anche a 30 anni di distanza.

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