martedì 21 maggio 2013

CINEMA
Nodo alla gola - Una riflessione sul teatro su grande schermo e una nota sulla versione italiana

Titolo originale Rope
Paese di produzione USA
Anno 1948
Durata 77 min
Regia Alfred Hitchcock
Sceneggiatura Arthur Laurents
Fotografia Joseph Valentine, William V. Skall
Montaggio William H. Ziegler
Musiche Leo S. Forbstein
Scenografia Perry Ferguson, Emile Kuri, Howard Bristol
Cast James Stewart, John Dall, Farley Granger, Joan Chandler, Douglas Dick, Cedric Hardwicke, Constance Collier, Edith Evanson, Dick Hogan

Caratterizzato da undici piani sequenza montati come se si trattasse di un'unica ripresa, il film, proprio in virtù di questa particolarità, è realizzato in modo da apparire come una pièce teatrale (il soggetto è effettivamente tratto da un'opera di Patrick Hamilton). Ecco come Hitchcock descrive l'idea del film nella splendida intervista concessa a François Truffaut nel libro Il cinema secondo Hitchcock:
"Non so veramente perchè mi sia lasciato trascinare in questo pasticcio di Nodo alla gola; non posso chiamarlo altrimenti. La commedia aveva la stessa durata dell'azione, aveva un andamento continuo, dal momento in cui si alzava il sipario fino a quando era calato e mi sono chiesto: come posso tecnicamente filmare questa storia mantenendo lo stesso andamento della commedia? La risposta era evidentemente che la tecnica del film avrebbe dovutoprodurre la stessa continuità eche non si sarebbe dovuto fare alcuna interruzione all'interno di una storia che incomincia alle 19:30 e termina alle 21:15. Allora mi è venuta questa idea un po' folle di girare un film costituito da una sola inquadratura. Ora, quando ci rifletto, mi rendo conto che era completamente senza senso, perchè rompevo con tutte le mie tradizioni e rinnegavo tutte le mie teorie sulla segmentazione del film e sulle possibilità offerte dal montaggio, per raccontare una storia attraverso le immagini. Tuttavia ho girato questo film montandolo in anticipo; i movimenti della macchina da presa e i movimenti degli attori ricalcavano esattamente il mio modo abituale di scegliere le mie inquadrature per il montaggio, cioè cercavo di mantenere il principio del cambiamento di proporzione delle immagini in rapporto all'importanza emotiva dei vari momenti. Beninteso, ho avuto molte difficoltà per fare questo e non solo con la macchina da presa. Per esempio con la luce: nel film la luce diminuiva continuamente, l'illuminazione cambiava tra le 19:30 e le 21:15, perchè l'azione cominciava quando era ancora giorno e si concludeva di notte. Un'altra difficoltà tecnica da superare consisteva nell'interruzione forzata alla fine di ciascuna bobina:l'ho risolta facendo passare un personaggio davanti all'obbiettivo per oscurarlo proprio nel momento preciso in cui la pellicola del caricatore finiva. Così c'era un primissimo piano sulla giacca di un personaggio e all'inizio della bobina successiva si riprendeva ancora col primissimo piano sulla giacca".

Purtroppo, la versione italiana di questo capolavoro rovina completamente il senso del film. Battute inspiegabilmente cambiate, movente stravolto: nella sceneggiatura inglese i due giovani uccidono il loro amico per puro piacere estetico, nel doppiaggio riconducono la tragedia a una discussione degenerata con esiti drammatici, per nulla in linea con il resto del film e tanto meno con la presenza dei guanti alle mani dei due ragazzi, che implicano necessariamente una premeditazione.

giovedì 16 maggio 2013

LIFE
Complice Luna


La pelle bruciata dai raggi di luna
Nasconde un segreto, un amore rubato
I giunchi mimetizzano due corpi cinerei
Che ad ogni equinozio si incontrano furtivi

Promessi entrambi a un futuro distratto
Si lasciano andare tra lacrime amare
Non possono guardarsi, celato è l'amore
Stupiti di dove li abbia portati il cuore

La luce del giorno non deve trovarli
L'amaro sorriso dovranno indossare
La luna sorride, sa che non è un addio
Attenderà paziente l'equinozio a venire


Claudio Questa

sabato 11 maggio 2013

LIFE
Della psicoterapia, e altri dubbi


Ho visto una puntata di In Treatment, una nuova serie TV italiana diretta da Saverio Costanzo e interpretata da Sergio Castellitto, psicoterapeuta che ospita ogni settimana nel suo studio pazienti di varie tipologie (in breve, l'episodio che ho visto è incentrato sulla figura di Dario, magistralmente interpretato da Guido Caprino, carabiniere sotto copertura coinvolto in una difficile indagine su una pericolosa organizzazione criminale). Oltre a essere rimasto incredibilmente stupito dall'ottima fattura della serie TV, di livello eccelso, soprattutto nel desolante panorama della televisione italiana di oggi, sono andato inevitabilmente con il pensiero alla mia situazione personale.
Sono in terapia da quasi due anni ormai, un universo nebuloso che mi ha letteralmente cambiato la vita. E guardando la puntata in questione, dove Dario confessa al suo terapeuta la paura di essere gay, con tutte le ripercussioni del caso (mito del machismo messo in discussione, identificazione dell'omosessuale come essere debole e frignante, con conseguente timore di non essere in grado di affrontare le traversie della vita), non ho potuto non osservare la partecipazione umana dello psicoterapeuta di fronte al momento di crisi vissuto dal paziente. E mi sono chiesto: quanto c'è di veramente empatico nell'atteggiamento di uno psicoterapeuta? Quanto partecipa effettivamente al dolore del suo paziente? Quanto la scelta del suo lavoro è stata influenzata dalla necessità o dalla voglia di aiutare le persone? E quanto l'identificazione della psicoterapia come servizio che prevede un compenso di natura economica (laddove privata) ci permette effettivamente di interpretare la professione come un bene di cui ci forniamo, proprio come se andassimo a un supermercato o in un centro commerciale?
Mi piace pensare allo psicoterapeuta come a una persona pagata per condividere le sue conoscenze didattiche, apprese dopo anni e anni di studio intenso, ma che nella sua professione investe una notevole percentuale di umanità ed empatia verso l'altro. Una missione, più che un lavoro, come quella di un medico.
Mi piace pensare allo psicoterapeuta come a una persona in grado di aiutarmi umanamente a capire i miei limiti e a fornirmi gli strumenti per accettarli, laddove sia impossibile superarli.
Mi piace pensare di sedermi di fronte a una persona che offre il suo servizio ponendosi come primo obiettivo quello di aiutarmi a migliorare la mia vita, e non quello di gonfiarsi il portafogli.

MUSICA
L'ultima eclisse


In effetti sembra notte fonda
l'ennesima eclisse tra un dolore e un altro
quaggiù all'inferno s'invecchia l'aria è più accesa
quaggiù all'inferno si cambia più spesso rotta
nessuna beata certezza né l'ombra
di commovente pietà...
non pensare che sia distante non pensare
non pensare che sia distante non pensare
non pensare che sia distante
da qui vedo la tua casa
In effetti tra un girone e un altro
cercavo i tuoi occhi blu di metilene
quaggiù all'inferno perpetua
croce e delizia
quaggiù all'inferno si sconta
l'aspra e inflessibile sentenza
tra gli inferi il dubbio serpeggia
nessuna beata certezza né l'ombra
di commovente pietà...
non pensare che sia distante non pensare
non pensare che sia distante non pensare
non pensare che sia distante
da qui vedo la tua casa

venerdì 10 maggio 2013

MUSICA
Paradise (not for me)



Fonte: alhexanderv on Tumblr

LIFE
Un momento


Non è un momento negativo, è solo un momento di grande cambiamento.
Un momento in cui a volte ho difficoltà a riconoscermi allo specchio.
Un momento in cui non ho voglia di socializzare con tutti, o meglio con chiunque.
Un momento in cui ho bisogno di cambiare modalità di comunicazione e, all'occorrenza, il destinatario.
Un momento in cui i rami potati sono più di quelli ancora attaccati all'albero, ma se sono secchi è giusto lasciare il posto a quelli che devono ancora nascere.
Un momento in cui realizzo che posso davvero scegliere chi portare in viaggio con me.
Un momento in cui non sento troppo la mancanza di qualcuno accanto, e la cosa mi fa un po' paura.
Un momento che posso, devo e voglio dedicare completamente a me stesso.

mercoledì 8 maggio 2013

LIFE
Quanto costa una rosa?


La domanda rompe il silenzio di questa piacevolissima serata, che mi accompagna lungo il tragitto da casa dei miei a casa mia, a piedi, con Penny al guinzaglio e un libro nell'altra mano. Sì, perché io, nei lunghi tragitti a piedi, leggo, in città come in montagna. Ho persino imparato a scorgere gradini, marciapiedi ed escrementi con la coda dell'occhio, per non inciampare o, come nell'ultimo caso, per non finirci sopra. E nel silenzio del quartiere, il giovane in motorino accosta e si avvicina al fioraio ancora aperto (a proposito, perché i fiorai sono sempre aperti, di notte?).
Ho interrotto la lettura. Ho pensato a quel piccolo gesto, magari neppure programmato, ma affacciatosi nella mente del ragazzo, forse sovrappensiero, alla vista del chiosco. Ho pensato alla sorpresa negli occhi della sua ragazza (o del suo ragazzo?), uno sguardo carico di amore, ho pensato a un abbraccio sul pianerottolo o davanti al cancello di casa.
E ho pensato a quanto ci vuole poco, davvero, per stare bene.
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