sabato 29 giugno 2013

CINEMA
La grande bellezza

Titolo originale La grande bellezza
Paese di produzione Italia
Anno 2013
Durata 142 min
Regia Paolo Sorrentino
Sceneggiatura Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Fotografia Luca Bigazzi
Montaggio Cristiano Travaglioli
Musiche Lele Marchitelli
Scenografia Stefania Cella
Costumi Daniela Ciancio
Cast Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Franco Graziosi, Giorgio Pasotti, Massimo Popolizio, Sonia Gessner, Anna Della Rosa, Luca Marinelli, Serena Grandi, Ivan Franek, Vernon Dobtcheff, Dario Cantarelli, Lillo, Luciano Virgilio, Aldo Ralli, Giusi Merli, Giovanna Vignola, Anita Kravos, Massimo De Francovich, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari, Fanny Ardant, Antonello Venditti


Da una parte c'è Fellini. C'è La dolce vita. C'è la condanna del radical chic.
Dall'altra c'è uno che vorrebbe essere Fellini, che vorrebbe replicare La dolce vita, che vorrebbe condannare il radical chic.

Non ci metterei la mano sul fuoco, ma credo di conoscere la tipologia di persone che promuove a pieni voti la nuova pellicola di Paolo Sorrentino. Daria Bignardi, per dirne una. Quel genere lì. Quelle persone (sempre probabilmente) che condannano, criticano aspramente, a tratti schifano il personaggio che vive di lusso, vuoto interiore, disperazione cosmica, feste orgiastiche inondate di Crystal e piste di coca inspirate da bigliettoni da 500 euro, grandi discorsi incentrati sul nulla, sequele compulsive e disperate di autoscatti pseudoartistici al cellulare e crocette sui simboli di estrema sinistra all'interno delle cabine elettorali (emblematici in questo caso i ruoli di Isabella Ferrari e Galatea Ranzi). Il problema è che Sorrentino condanna, ma allo stesso tempo sta al gioco, creando un film lezioso, pretenzioso, inutilmente lungo e drammaticamente vuoto (troppo facile giustificarsi con il classico "era proprio quella l'intenzione"). Per riassumere il tutto in un termine, appunto, radical chic.
Parte dell'attrattiva della pellicola è riconducibile sicuramente ai panorami di una Roma fin troppo facile da fotografare (comunque ottimo il lavoro di Luca Bigazzi), ma se da una parte il regista de Il Divo scopre apparentemente l'acqua calda ambientando gran parte delle scene su un attico con vista sul Colosseo o all'interno di alcuni tra i più incantevoli palazzi della Città Eterna (emblematica la visita notturna agli edifici/musei di Servillo e Ferilli), dall'altra, perlomeno, evita di vincere in maniera platealmente facile offrendo inquadrature quasi mai scontate di panorami ormai impressi nella memoria di qualsiasi spettatore grazie all'occhio esperto dei grandi cineasti del tempo che fu. E dirige un gruppo di attori perfettamente in parte e ottimamente amalgamati tra loro (eccezion fatta per un Verdone inesorabilmente intrappolato nei ruoli che lo hanno reso famoso e che cerca, senza riuscirci, di imporsi come figura drammatica in quello che rimane l'unico personaggio forse veramente puro della pellicola).
Toni Servillo è l'ultimo grande attore italiano della nostra epoca. Tempi incredibilmente perfetti, espressività adeguata ai vari stati d'animo che attraversano il personaggio nei 140, lunghissimi, minuti del film. Ironia sagace. Autocritica al vetriolo. Fascino d'altri tempi.
Sabrina Ferilli è Sabrina Ferilli. Non è Anna Magnani, e forse a volte lo dimentica. Ma va premiato il gesto di indossare una tutina trasparente color carne da lei stessa acquistata e che non ha mai avuto il coraggio di vestire nella sua vita. Lo fa su pellicola, consapevole delle reazioni che susciterà.
E poi c'è Serena Grandi, che con appena tre scene monopolizza l'attenzione del film. Perché lei è il film, ed è semplicemente se stessa. Il disfacimento di una bellissima star dei tempi passati data in pasto ai pescecani, agli spacciatori di cocaina e ai chirurghi estetici di dubbia moralità (o semplicemente di dubbio gusto).
Resta comunque il dubbio di aver assistito a un tentativo di condanna e disprezzo di un ambiente e uno stile di vita espresso con lo stesso snobismo e gli stessi controsensi di cui il film è, tristemente, saturo.


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