giovedì 26 dicembre 2013

CINEMA
La commare secca

Titolo originale La commare secca
Paese di produzione Italia
Anno 1962
Durata 88 min
Regia Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti
Fotografia Gianni Narzisi
Montaggio Nino Baragli
Musiche Piero Piccioni
Scenografia Adriana Spadaro
Costumi Adriana Spadaro
Cast Francesco Ruiu, Giancarlo De Rosa, Vincenzo Ciccora, Alfredo Leggi, Gabriella Giorgelli, Santina Lisio, Carlotta Barilli, Ada Peragostini, Clorinda Celani, Allen Midgette, Renato Troiani, Vanda Rocci, Marisa Solinas, Alvaro D'Ercole, Romano Labate, Emi Rocci, Lorenza Benedetti, Erina Torelli, Silvio Laurenzi, Gianni Bonagura

...e già la Commaraccia secca de strada Giulia arza er rampino
Così Gioacchino Belli definisce la Morte in un suo celebre sonetto. Bernardo Bertolucci, al suo esordio alla regia nel 1962, trae spunto da questo verso per creare un giallo di ambientazione romana tratto da un soggetto di Pier Paolo Pasolini. E l'impronta pasoliniana, in questa pellicola, è ben marcata. Il ritrovamento del cadavere di una prostituta sul greto del Tevere offre lo spunto al regista per presentare una serie di personaggi visti la sera del delitto nel parco in cui la donna esercitava il mestiere: c'è il "Canticchia", ragazzino impegnato in piccoli furtarelli insieme ai suoi compagni di ventura, il "Califfo", mantenuto dalla sua fidanzata, una strozzina che ha accompagnato lungo una giornata di riscossioni, "Teodoro", giovane soldato meridionale con il pallino per "i fimmine" che ha trascorso il giorno in giro tra le rovine di un'incantevole Roma e si è addormentato su una panchina del parco senza rendersi conto di costa stesse accadendo, "Natalino", eccentrico friuliano con ai piedi un paio di zoccoli che afferma di essere passato solo furtivamente nei pressi del luogo del delitto. Una serie di personaggi immersi nel pieno Neorealismo di cui il Pasolini fu per l'appunto il principale rappresentante. Ma La commare secca, anche e soprattutto per l'ambientazione arida, rurale e afosa della Roma dei bei tempi andati, richiama alla memoria un altro grande classico della cinematografia di genere, Un maledetto imbroglio, che solo 3 anni prima Pietro Germi aveva realizzato rielaborando il capolavoro letterario di Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.

Bernardo Bertolucci getta solide fondamenta per la sua cinematografia a venire, dimostrandosi fin dal suo esordio un abile regista in grado di catturare sullo schermo la psicologia e le caratteristiche squisitamente umane dei suoi personaggi. Sapiente l'uso che fa della cinepresa, con inquadrature moderne, funzionali al racconto e capaci di catturare l'essenza della Città eterna e dei protagonisti che ruotano attorno alla vicenda. Nino Baragli, incaricato del montaggio, offre una prova eccellente di maestria tecnica e la fotografia di Gianni Narzisi regala scorci di Roma ormai perduti e, forse anche per questo motivo, meravigliosamente affascinanti. Superbo, infine, il lavoro di restauro a opera di Mediaset Cinema Forever, un'iniziativa che, in memoria di Carlo Bernasconi, manager cinematografico e televisivo artefice dell'operazione di recupero di vecchi film, ha riportato al suo originale splendore capolavori a rischio di estinzione quali Deserto Rosso, Giulietta degli Spiriti e Mamma Roma.
Una curiosità: il film venne distribuito all'estero con il titolo The grim reaper, lo stesso che verrà utilizzato alcuni anni dopo per un'altra pellicola di tutt'altro genere, il capolavoro horror Antropophagus di Joe D'amato/Aristide Massaccesi.
Un'opera d'arte imprescindibile nella videoteca di ogni collezionista.

mercoledì 25 dicembre 2013

CINEMA
Nero veneziano

Titolo originale Nero veneziano/Damned in Venice
Paese di produzione Italia
Anno 1978
Durata 95 min
Regia Ugo Liberatore
Sceneggiatura Ottavio Alessi, Roberto Gandus, Domenico Rafele
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Pino Donaggio
Scenografia Givanni Soccol
Cast Renato Cestiè, Rena Niehaus, Yorgo Voyagis, Fabio Gamma, José Quaglio, Olga Karlatos, Tom Felleghy, Bettina Mille, Lorraine De Selle, Ely Galleani, Angela Covello, Florence Barnes, Gloria Bozzola, Francesca Bosco, Linda Larsen, Jaqueline Kluger, Tiziana Cipelletti, Renzo Martini

Venezia ha da sempre esercitato un certo fascino sul cinema italiano, e in particolare sul genere giallo/horror. Numerosi sono gli esempi a tal proposito: basti pensare a Chi l'ha vista morire?, elegante giallo di Aldo Lado in cui un serial killer ossessionato da bambine dai capelli rossi si aggira indisturbato lungo i canali veneziani, La vittima designata, dove un inedito Tomas Milian gioca al "delitto per delitto" di hitchcockiana memoria con Pierre Clémenti, Anima persa, ottimo giallo di Giovanni Arpino con un iperbolico Vittorio Gassman in un ambiguo doppio ruolo, senza tralasciare A Venezia un dicembre rosso shocking, coproduzione britannica/italiana e capolavoro assoluto dei brividi lagunari di Nicolas Roeg.
Fuori tempo massimo, Ugo Liberatore gira nel 1978 il suo ultimo lungometraggio (nonché unico horror della sua carriera), una fiaba horror di possessioni demoniache e avventi dell'Anticristo ambientata, per l'appunto, a Venezia. Un giovane Renato Cestié, il bambino protagonista accanto a Nicoletta Elmi nello spiazzante finale di Reazione a catena di Mario Bava e che qualche anno dopo avrebbe preso parte al telefilm topico degli anni '80 tricolore, I ragazzi della terza C, interpreta il ruolo di Mark, quattordicenne cieco e affidato alle cure poco amorevoli della sorella Christine. I due adolescenti ereditano una fortuna in seguito alla morte della nonna e la ragazza decide di aprire una pensione nella città del Lido, ma le "visioni" demoniache del fratello e l'apparizione di un misterioso individuo intenzionato a soggiornare nell'hotel appena aperto daranno il via a una girandola di eventi paranormali e raccapriccianti che culmineranno nel recupero della vista da parte del ragazzo, non senza disastrose conseguenze.
Caratterizzato da luci fredde e da una fotografia asettica, curata da Alfio Contini, Nero veneziano è un horror che avrebbe potuto/dovuto osare di più. Essenzialmente incentrato sulla figura del giovane Mark, stenta a decollare per via di una sceneggiatura quasi castrata, penalizzata dall'impossibilità di tradurre in reale orrore alcune premesse davvero buone. Le sequenze visionarie garantiscono comunque un certo effetto e sono esteticamente ricercate, con riverberi e flash luminosi che conferiscono alle immagini un aspetto ultraterreno. In ritardo rispetto alla tematica demoniaca, affrontata nel decennio in tutti i modi possibili e immaginabili, Nero veneziano si lascia guardare solo in parte e il finale aperto offre pochi spunti di riflessione. Peccato.

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Cinema: Nude si muore (1968)

martedì 24 dicembre 2013

CINEMA
L'assassino... è al telefono

Titolo originale L'assassino... è al telefono
Paese di produzione Italia, Belgio
Anno 1972
Durata 105 min
Regia Alberto De Martino
Sceneggiatura Adriano Bolzoni, Alberto De Martino, Renato Izzo, Lorenzo Manning, Vincenzo Mannino
Fotografia Joe D'amato
Montaggio Otello Colangeli
Musiche Stelvio Cipriani
Costumi Enrico Sabbatini
Cast Telly Savalas, Anne Heywood, Osvaldo Ruggeri, Giorgio Piazza, Willeke von Ammelrooy, Rossella Falk, Antonio Guidi, Roger Van Hool, Ada Pometti, Alessandro Perrella, Marc Audier, Piet Balfoort, Georges Bossair, Sandra L. Brennan, Suzy Falk, Leonardo Scavino, Serge-Henri Valcke

Per amnesia si intende la mancanza o la perdita della memoria, soprattutto come incapacità a rievocare esperienze passate. Nel linguaggio della neuropsicologia si distinguono l'amnesia 'anterograda' e quella 'retrograda' o 'retroattiva'. Si parla di amnesia anterograda quando la perdita dei ricordi è relativa a eventi che si sono verificati dopo un trauma cranico o dopo una malattia, il che implica l'incapacità di memorizzare nuove esperienze. L'amnesia retrograda si riferisce invece a eventi precedenti il trauma o la malattia i quali hanno provocato la perdita dei ricordi, un vero e proprio 'buco' nella memoria. (Enciclopedia Treccani)

Quella che affligge Eleanor, protagonista della pellicola del 1972 di Alberto de Martino, sembra essere un mix dei due tipi di amnesia sopra citati: da una parte la donna perde completamente coscienza degli eventi accaduti in seguito al trauma subito per la morte del suo compagno Peter, dall'altra stenta a ricordare i fatti accaduti in concomitanza o immediatamente precedenti alla tragedia. E fatica a richiamare alla memoria anche il volto misterioso dell'individuo che la perseguita incessantemente nella città di Bruges, armato di coltellino a serramanico. Quanti tasselli di un immaginario puzzle dovrà raccogliere per riuscire a ricomporre il quadro? E a quale prezzo? Chi sono le persone che la circondano? Quale ruolo hanno svolto all'interno della vicenda?

Il compito non è sicuramente facile: catturare lo spettatore in un'intricata matassa per 99 minuti senza perdere il filo. L'obiettivo riesce solo in parte. Se da un lato è affascinante l'espediente utilizzato dal regista, che tende la mano al pubblico e lo accompagna nella ricostruzione del passato di Eleanor mentre la donna ricompone le tessere della sua complicata esistenza (una sorta di Memento ante litteram), dall'altra gli inseguimenti e gli attentati subiti dalla protagonista nella incantevole cornice della cittadina belga risultano a tratti lenti, forse addirittura estenuanti e sicuramente non coadiuvati dal tema principale del film, firmato da Stelvio Cipriani, riproposto a intervalli medi di 5 minuti per l'intera durata del lungometraggio. Come in moltissimi altri esempi della nostra cinematografia del brivido, torna anche qui l'omaggio a Hitchcock, nella sequenza pre-finale ambientata sul palcoscenico di un teatro.
Sicuramente raffinate, eleganti e calibrate le performance di Anne Heywood, celebrità hollywoodiana già protagonista di quel La volpe che scopriremo avere più punti in comune con questo film, e di Telly Savalas, non ancora Kojak, splendidamente inquietante nel ruolo del sicario Ranko (lo stesso anno verrà chiamato da Mario Bava per incarnare il Male assoluto nel celeberrimo Lisa e il diavolo). Rossella Falk, regina incontrastata del teatro e degli sceneggiati televisivi, offre l'ennesima prova di bravura in un ruolo ambiguo, perfido, galvanizzante.
Un esperimento interessante, a tratti riuscito, ma in parte penalizzato da alcuni passaggi estremamente tediosi e da un finale lasciato forse troppo in balia di se stesso.

lunedì 23 dicembre 2013

CINEMA
Un delitto poco comune

Titolo originale Un delitto poco comune
Paese di produzione Italia
Anno 1988
Durata 90 min
Regia Ruggero Deodato
Sceneggiatura Gigliola Battaglini, Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino
Fotografia Giorgio Di Battista
Montaggio Daniele Alabiso
Musiche Pino Donaggio
Scenografia Paolo Innocenzi
Cast Michael York, Edwige Fenech, Donald Pleasence, Mapi Galán, Fabio Sartor, Renato Cortesi, Antonella Ponziani, Carola Stagnaro, Daniele Brado, Caterina Boratto, Lewis E. Ciannelli, Renata Dal Pozzo, Giovanni Lombardo Radice

Nel panorama decadente del giallo all'italiana di fine anni '80, dove i pochissimi tentativi di ridare lustro a un genere ormai abbandonato non hanno sicuramente colto nel segno, Un delitto poco comune è una delle rare e piacevolissime eccezioni. Girato con mano esperta da Ruggero Deodato e dominato essenzialmente dalla notevole presenza scenica di Michael York, il film racconta la tormentata vicenda di Robert Dominici, un pianista di successo che porta dentro di sé un segreto agghiacciante. Intanto la città è sconvolta da una catena di omicidi compiuti da persone di età diverse: alcuni testimoni dichiarano di aver visto un giovane allontanarsi dal luogo del primo delitto, altri affermano che il secondo omicidio sarebbe stato compiuto da un cinquantenne, per altri ancora il terzo assassinio sarebbe opera di un settantenne. Qual è dunque il fil rouge che lega indissolubilmente questa catena di morti e, soprattutto, qual è il particolare che lega Robert agli assassini e alle vittime?

Ruggero Deodato, che ha raggiunto la fama a livello mondiale per generi cinematografici ben lontani dal giallo, dimostra di sapersi muovere egregiamente all'interno di una matassa intricata di tradimenti, sospetti, omicidi e tensione, sviluppando un prodotto di buona fattura nell'asfittico panorama del cinema di genere italiano alla fine degli anni '80 e dimostrando di aver appreso la lezione del Maestro del Brivido internazionale, Sir Alfred Hitchcock, rivelando l'assassino a metà film e costringendo lo spettatore a un brusco cambio di marcia: il dubbio "chi è stato?" lascia il posto a un'altra domanda, ovvero "quale sarà la sua prossima mossa?"

Donald Pleasance veste anche questa volta i panni dell'ispettore di polizia incaricato delle indagini, proprio come era accaduto qualche anno prima con il fortunatissimo Sotto il vestito niente targato Vanzina. Il ruolo femminile, assolutamente di contorno, ma funzionale agli esiti della vicenda, è affidato a una matura, ma sempre bellissima, Edwige Fenech. Raffinate ed eleganti le musiche di Pino Donaggio e la scenografia di Paolo Innocenzi.

Da recuperare.

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