mercoledì 29 giugno 2016

LIFE
Anaffettivi anALPHAbeti


Quanta acqua scorre tra un “Zitta, troia!” e un “Muori, frocio di merda!”?
Nemmeno una goccia.
Fa comodo non vederlo, non farci caso, far finta di nulla, ma entrambe le espressioni sono figlie dello stesso tumore civile: il maschilismo.
Quel maschilismo che nasce in famiglia, tutti riuniti amorevolmente davanti alla TV (mamme comprese) a guardare sfilate di seni e fondoschiena in bella vista, con il bimbo imbarazzato che guarda il padre con un’espressione mista tra il divertito, l’eccitato e l’imbarazzato, e il padre che, con sguardo fiero e imperioso, ammicca al figlio con un occhiolino, scuotendo leggermente la testa divertito in direzione della televisione. “Quella, figlio mio, è una femmina”, sembra dirgli. “Una femmina umana accogliente e subito pronta. Nata per essere castigata”.
E poco importa se il bimbo, dopo qualche anno, si ritrova in un gruppo di altri ragazzi come lui senza che nessuno di loro si fermi un secondo a riflettere sul fatto che “Cazzo, stiamo stuprando una ragazzina!”
Poco importa se, di fronte a una discussione con una donna, quel giovane non troverà di meglio che darle della “troia”, azzerando in un attimo qualsiasi tentativo costruttivo di critica e relegando a semplice meretrice il ruolo della sua interlocutrice.
Poco importa se, crescendo, quel ragazzino scoprirà che quel fondoschiena e quei seni non sono poi così interessanti, perché ricorderà le parole della sua famiglia, quella secondo cui “un uomo è uomo solo se ficca”.
Importa poco, sì, perché di fronte a gesti inconsulti e bestiali come un branco che stupra una ragazzina ci sarà sempre un padre o una madre del genere “alpha” che sarà pronto a perdonare la “ragazzata” (cit.) dei loro figli.
L’importante è incastrare la giusta combinazione “pene+vagina”, condannare la sgualdrina di turno perché “poteva evitare di essere così provocante e girare in minigonna” (d’altronde, sono numerosissimi i casi di violenza attuati da lesbiche nei confronti di tante donne in minigonna, no?), storcere il naso di fronte al Gay Pride perché “va bene tutto, ma certe cose fatele a casa vostra, altrimenti cosa spiego a mio figlio?”.

A parte che, come ho già ribadito più volte, il problema di elargire spiegazioni ai vostri figli è solo vostro, ma magari spiegategli come accade che uno o più maschi costringano una ragazza a subire uno stupro.
Spiegategli perché in televisione vengono sbattuti così tanti clitoridi in primo piano.
Spiegategli perché i gay non possono sfilare a torso nudo su un carro ma le ragazze che procacemente mettono in mostra la loro mercanzia sì.
Spiegategli come mai un ragazzino è stato picchiato a morte dai suoi compagni: pensate potrà bastar loro la spiegazione “Preferiva giocare con le Barbie anziché con i soldatini”?
Beh, sappiate che se per loro dovesse essere sufficiente, avete fallito. Come padri, come uomini, come esseri umani. E hanno fallito anche le donne al vostro fianco, spesso in prima fila a condannare la libertà altrui e ad appoggiare le teorie secondo cui “se l’è andata a cercare”, “l’uomo lavora, la donna a casa a pulire” e “se avessi un figlio gay lo sbatterei fuori di casa”. Donne la cui memoria corta impedisce loro di riconoscere che nasciamo liberi e con gli stessi diritti. Diritti di amare, di essere rispettati, persino di mostrare un capezzolo o una chiappa al vento, una volta ogni tanto.
State consegnando ai giovani un futuro (e un paese) disperato, ma a voi poco importa.
L’importante è che lo affrontino a testa alta e cazzo dritto.
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