Titolo originale The Artist
Paese di produzione Francia
Anno 2011
Durata 100 min
Regia Michel Hazanavicius
Sceneggiatura Michel Hazanavicius
Fotografia Guillaume Schiffman
Montaggio Anne-Sophie Bion, Michel Hazanavicius
Musiche Ludovic Bource
Scenografia Laurence Bennett, Gregory S. Hooper
Costumi Mark Bridges
Cast Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller, Missi Pyle, Joel Murray, Ed Lauter, Malcolm McDowell, Beth Grant
Ascesa e declino di un divo del cinema muto.
Siamo a Hollywood, nel 1927. George Valentin è il sogno di ogni ragazza: affascinante, avvenente, fortemente espressivo. È lui il protagonista maschile ideale di ogni pellicola in bianco e nero dell'epoca. Tra le tante fanciulle che si invaghiscono dell'attore, Peppy Miller è sicuramente quella più intraprendente. Finita quasi per caso sulla prima pagina di "Variety" insieme al suo beniamino, la ragazza inizia a farsi largo nel mondo del cinema, divenendo nel giro di un paio d'anni l'attrice femminile più richiesta e ammirata. Ma il 1932, anno dell'avvento del sonoro, cambia le sorti dei due giovani protagonisti, e se da una parte Peppy, giovane, fresca e intraprendente, si amalgama perfettamente alla nuova tecnica cinematografica, dall'altra George si rifiuta di arrendersi al progresso, investe tutti i suoi averi nella produzione di un film muto tutto suo e, complice la Grande Depressione, cade in disgrazia ed è costretto a vendere tutti i suoi beni all'asta...
Tutto funziona alla perfezione in questo piccolo gioiello cinematografico vincitore di 5 premi Oscar (Miglior film, Migliore regia, Miglior attore protagonista, Miglior colonna sonora, Migliori costumi). Dalla scelta dei protagonisti, che spaziano da un immenso Jean Dujardin, novello (ma neanche troppo) Clark Gable che deve aver sudato sette camicie nel tentativo (perfettamente riuscito) di riprodurre mimica facciale, movimenti e atteggiamenti dei grandi divi del muto, al burbero John Goodman, produttore che ricorda da vicino, fisicità a parte, il Selznick dei tempi che furono, fino a Uggie, il fedele Jack Russel, spalla perfetta di Dujardin. Un po' fuori parte Bérénice Bejo, l'unico membro del cast a ricordare, di tanto in tanto, che stiamo assistendo a un film del 2011. Anche grazie a una frequenza più bassa dei fotogrammi per secondo, 22 invece dei consueti 24, sembra in effetti di assistere davvero a una pellicola degli anni ruggenti, con atmosfere, costumi e interpretazioni perfettamente curati fin nei minimi dettagli. Di fronte a un film muto, la colonna sonora di Ludovic Bource merita una menzione particolare, accompagnando perfettamente la pellicola nei momenti più allegri, ma anche in quelli più romantici o malinconici.
In un'era contraddistinta da effetti speciali, 3D ed esplosioni in celluloide, lascia veramente a bocca aperta la capacità di Hazanavicius di regalare al pubblico un film sussurrato, elegante, totalmente visivo, al punto che per 100 minuti di durata sono sufficienti circa una ventina di sottotitoli: il resto è perfettamente convogliato da immagini ed espressioni di puro talento, per un film il cui unico rammarico, a titolo personale, è che non sia finito 10 secondi prima, sui sospiri dei due protagonisti, al termine di un numero di ballo davvero sbalorditivo.
Respiriamo aria costruita sulla confusione delle parole… circondati da un mondo sonoro che riempie le ore, non siamo più abituati al silenzio. L’assenza di rumori ci spaventa, ci inquieta, ci spinge a cercare di colmare quel vuoto con la radio accesa in macchina o la televisione che fa da sottofondo alle nostre attività quotidiane, con chiacchiere inutili che sembrano non lasciare spazio alla solitudine.
RispondiEliminaLa gestualità, l’espressività, il corpo sono appendici prive del reale valore e non sono altro che lo sfondo della nostra vita.
Al termine del film The Artist, ciò che colpisce lo spettatore, è innanzitutto l’incredulità di aver trascorso quasi 2 ore osservando una storia raccontata senza l’aiuto delle parole, ascoltando soltanto una colonna sonora che avvolge le scene, senza l’ombra della noia o della stanchezza immaginate. Troppo abituati ad un cinema fantasmagorico, costruito su effetti speciali e dialoghi incessanti, abbiamo tutti guardato a questo film con la spocchia scettica di chi non crede che il muto passato cinematografico possa aderire alla nostra epoca. Meraviglioso scoprire, con il trascorrere dei minuti, che mai una volta proviamo la nostalgia delle parole e che l’espressione del corpo e del viso basta a raccontare, emozionare, commuovere e perfino divertire. Jean Dujardin ti catapulta nel glorioso passato del cinema muto con una naturalezza tale, che immaginarlo in vesti moderne pare impossibile. Il sorriso ammaliante, il sopracciglio inarcato, la gestualità marcata lo rendono il diamante di questo capolavoro raffinato e delicato. Una menzione d’onore va al regista e al produttore che hanno scommesso su un anacronismo attraverso un lavoro magistrale, restituendoci la modernità di una antica storia d'amore.
Una storia d’amore d’altri tempi, o di tutti i tempi, raccontata solo attraverso la malia delle immagini e dalla fusione di sguardi e gesti immersi nell’intenso bianco e nero.
Una narrazione resa pura dall'assenza di dialoghi e dove, la contaminazione delle parole, non avrebbe reso possibile la magica atmosfera nella quale ci si trova avvolti e che ci lascia ricordare quanto uno sguardo possa entrare nell’anima e rimanerci per sempre.