lunedì 29 ottobre 2012

CINEMA
A single man

Titolo originale A single man
Paese di produzione USA
Anno 2009
Durata 95 min
Regia Tom Ford
Sceneggiatura Tom Ford, David Scearce
Fotografia Eduard Grau
Montaggio Joan Sobel
Musiche Abel Korzeniowski, Shigeru Umebayashi
Scenografia Dan Bishop
Costumi Arianne Phillips
Cast Colin Firth, Julianne Moore, Nicholas Hoult, Matthew Goode, Jon Kortajarena, Paulette Lamori, Ryan Simpkins, Ginnifer Goodwin, Teddy Sears

Come si cura un cuore spezzato dall'improvvisa perdita dell'amore di una vita? Prova a spiegarcelo in un'ora e 40 minuti Tom Ford, nella sua opera prima A single man. La risposta è alquanto drammatica: non si cura, ma allo stesso tempo si instaurano meccanismi di autodifesa che, apparentemente mirati all'autodistruzione, regalano emozioni e sensazioni imprevedibili, contribuendo a vivere la vera essenza della vita in una giornata che potrebbe essere l'ultima della nostra esistenza.
Un cast di prim'ordine, capitanato da uno strabiliante Colin Firth onnipresente in ogni singola scena e supportato da una brillantissima Julianne Moore, un purissimo Nicholas Hoult e un dolcissimo Matthew Goode, rispettivamente nei ruoli di Kenny e Jim, contribuisce a elevare artisticamente una pellicola già tecnicamente impeccabile: sontuosa la fotografia di Eduard Grau, elegantissimi gli abiti di Arianne Phillips (due nomination agli Oscar per Quando l'amore brucia l'anima (2006) e W.E. (2011)), qualitativamente eccellente la scenografia di Dan Bishop (esemplare a questo riguardo la casa di legno e vetro del protagonista), emozionante la colonna sonora di Abel Korzeniowski che accompagna la quasi intera durata del film, caratterizzato da lunghe e ed emozionanti scene che ripercorrono una vita intera in un giorno "poco comune" di un uomo qualsiasi, come quella estremamente luminosa in cui Colin Firth conversa con l'aitante Jon Kortajarena in cerca di notorietà a Los Angeles o quella meravigliosamente intima in cui i due innamorati leggono un libro, sdraiati uno di fronte all'altro sul divano di casa, e si scambiano pareri e progetti di vita. La vita come dovrebbe essere.

venerdì 8 giugno 2012

CINEMA
W.E.

Titolo originale W.E.
Paese di produzione USA
Anno 2011
Durata 114 min
Regia Madonna
Sceneggiatura Madonna, Alek Keshishian
Fotografia Hagen Bogdanski
Montaggio Danny Tull
Musiche Abel Korzeniowski
Scenografia Martin Childs
Costumi Arianne Phillips
Cast James D'Arcy, Andrea Riseborough, Abbie Cornish, Oscar Isaac, Richard Coyle, Natalie Dormer, James Fox, Haluk Bilginer

Se c'è un elemento che emerge più degli altri in questa pellicola, è sicuramente l'ennesimo tentativo da parte di Madonna di spiegare come e quanto, nelle sue intenzioni, genuine o artefatte che siano, sia stata incompresa in 30 anni di carriera. Il caso più eclatante (e convincente) fu nel 1996 con il film Evita, coinvolgente ritratto della First Lady che cambiò l'Argentina, diretto da Alan Parker, che la regina del pop ha utilizzato per mostrare una nuova faccia, quella di artista più solida e strutturata, che nel giro di un paio d'anni avrebbe partorito quello che a oggi è considerato il suo capolavoro musicale, Ray of Light. L'ostinazione verso il cinema, sua vera, grande passione da cui è stata il più delle volte martoriata (spesso giustamente, altre volte per partito preso), porta Madonna nel 2008 a passare dietro la macchina da presa con un'opera prima di nicchia, quel Sacro e profano dai toni fortemente autobiografici in cui "racconta i sogni e le aspirazioni di un nucleo di persone, tra cui un aspirante musicista, un professore e scrittore cieco, e due immigrate russe, una coltiva il sogno della danza classica mentre l'altra sogna di essere una volontaria in Africa." (fonte: Wikipedia).

Nel 2012 Madonna ci riprova, questa volta con un film più complesso e, sotto molti aspetti, più ardito, ma la sostanza non cambia: complice una delle storie d'amore più controverse e discusse del Novecento, la cantante grida nuovamente ai quattro venti la sua insoddisfazione nei confronti di un mondo che non l'ha mai capita, e questa volta si serve delle fattezze di Wallis Simpson, ereditiera americana pluridivorziata per cui Edoardo VIII abdicò in favore del fratello (la cui vicenda è raccontata nel film Il discorso del re).

Proprio come in Evita, Madonna rivive in un personaggio estremo, anticonvenzionale: Wallis è spregiudicata, avanti con i tempi, affronta a testa alta il perbenismo e il bigottismo della borghesia che vede in lei un'arrampicatrice sociale egoista e prepotente e, sebbene come nella pellicola di Alan Parker non manchino anche qui indicazioni più o meno velate sulla sfrontatezza di una donna determinata a ottenere ciò che vuole a qualunque prezzo, dipinge un ritratto a tinte forti spostando l'attenzione generale da un amore in nome del quale l'erede al trono è pronto ad abdicare alla paura e all'isolamento necessariamente derivanti dalle conseguenze di un gesto così estremo. E se Madonna decide di non affidarsi interamente alla ricostruzione storica della scandalosa coppia di amanti, l'introduzione del pretesto per narrarne le vicissitudini finisce, tuttavia, per ridurre parzialmente il valore dell'opera. Wally Winthrop è una donna insoddisfatta della sua vita matrimoniale nella New York di oggi che, complice un'asta di Sotheby's in cui verranno venduti i cimeli di Wallis ed Edoardo (W.E.), inizia a interessarsi alla vita dell'ereditiera americana, fino a diventarne letteralmente ossessionata. Cercando di trovare le motivazioni necessarie a ricostruirsi una vita indipendente e libera da qualsiasi convenzione o pregiudizio, Wally osserva con ossessiva attenzione gli oggetti appartenuti al suo alter-ego, che offrono alla regista l'ottimo pretesto di raccontare scorci di vita ben più interessanti e tecnicamente superiori. Impossibile, infatti, non rimanere catturati dalla brillante e profonda interpretazione di Andrea Riseborough che, complici un trucco spesso, ma non sempre, vicino alla perfezione e una carrellata di costumi d'epoca caratterizzati da un'attenzione quasi maniacale al dettaglio, offre un ritratto di Wallis Simpsons difficile da dimenticare. Ottimo coprotagonista James D'Arcy, perfettamente in ruolo e in grado di interpretare con genuino talento un uomo talmente coinvolto dall'amore da non esitare nemmeno un istante a rinunciare al trono per dedicarsi a una vita da esiliato priva di qualsiasi contatto con il mondo esterno.

Se da una parte l'attenzione di Madonna è focalizzata sul punto di vista di una donna forte ed emancipata, ma terrorizzata all'idea di non essere in grado di sostenere il peso di una scelta così importante da parte dell'erede al trono d'Inghilterra, dall'altra la storia della giovane Wally finisce per risultare forzata e non sempre credibilmente in linea con le intenzioni stilistiche e narrative del film. La ricostruzione storica è estremamente curata nei dettagli, tecnicamente raffinata, ricercata e decorata con scelte musicali anacronistiche (come nella scena in cui Wallis intrattiene i partecipanti a una festa ballando sulle note di un brano dei Sex Pistols) ma mai banali o fuori luogo. La narrazione degli eventi moderni, d'altro canto, è stabile, monocorde, canonica, a tratti persino forzatamente pretestuosa nel voler raccontare un'ossessione credibile sulla carta, ma non del tutto drammaturgicamente convincente. E l'impressione di assistere a due film diversi (seppur intersecati tra loro con pretesti originali) vanifica in parte l'intento di Madonna di riscattarsi da un mondo, quello del cinema, di cui vuole far parte con tutta se stessa. Che poi il film sia stato stroncato praticamente ovunque solo per essere stato diretto dalla popstar, è una storia a cui ormai tutti noi siamo più che abituati.

mercoledì 30 maggio 2012

LIBRI
"Rossella": il verdetto

Quando nel 1991 Alexandra Ripley ha pubblicato "Rossella", il seguito del leggendario "Via col vento", in molti si chiesero cosa avesse spinto l'autrice di romanzi storici americani a imbarcarsi in un'impresa data per persa già in partenza. Riprendere i personaggi creati dalla penna di Margareth Mitchell nel 1936 e immortalati per sempre nella memoria collettiva dalla pellicola di Victor Fleming nel 1939, e farli rivivere per raccontarne le imprese a partire dalla celeberrima frase di chiusura del romanzo originale:
Dopotutto, domani è un altro giorno
rischiava di distruggere definitivamente la carriera già di per sé non particolarmente scintillante della Ripley. E così fu. Nonostante uno scontato successo letterario in tutto il mondo, la critica stroncò senza mezzi termini il romanzo, al punto che gli eredi della Mitchell commissionarono un sequel ufficiale nel 2007, "Il mondo di Rhett", scritto da Donald McCaig (in realtà si tratta di un'opera che ripercorre la vita di Rhett Butler e che, in alcuni punti, si svolge in parallelo a "Via col vento", ma con un punto di vista completamente diverso).

A dirla tutta, se accettiamo il concetto di mettere mano a un caposaldo storico della letteratura e del cinema, e ci addentriamo nel mondo di "Rossella" con meno pregiudizi possibili, il romanzo non è affatto da buttar via. Protagonista assoluta delle circa 800 pagine, Rossella, dopo aver perduto Melania e l'amore di Rhett, si arma di coraggio, sfrontatezza e buona volontà, decisa fino in fondo a riconquistare l'unico uomo che abbia davvero amato. Seguiamo le sue vicissitudini ad Atlanta, dove cerca in tutti i modi di aiutare l'anima perduta di Ashley, che non riesce a superare il dolore per la morte di Melly, e continua a far parlare di sé per la sua sfrontatezza e le sue maniere non esattamente da gentildonna. La goccia che farà traboccare il vaso sarà tuttavia una lettera inviatale da Charleston da sua zia Eulalie, che le chiede per quale motivo si ostini a stare lontana da suo marito (tornato appunto nella sua città natale) per seguire la sua attività commerciale.
Ferita nell'orgoglio di donna abbandonata e rifiutandosi di passare per carnefice nel rapporto a due con Rhett, Rossella parte alla conquista di Charleston e di suo marito, iniziando a ingraziarsi la suocera Eleanor. A Charleston, Rossella conoscerà un nutrito numero di persone collegate a Rhett, ma sarà un nome in particolare a risvegliare in lei il senso della famiglia così radicato in tutte le generazioni O'Hara: Townsend Ellinton, cugino di Rhett, è originario di Savannah, esattamente come sua madre. Dopo una tempesta in alto mare, un naufragio e una notte di passione tra i due coniugi, Rossella, per l'ennesima volta abbandonata, decide di partire per Savannah e conoscere suo nonno e i suoi cugini (una vera stirpe di O'Hara dai capelli rossi, di sangue puramente irlandese). È questa l'essenza del romanzo: le radici, l'attaccamento alla propria terra, concetto che già la Mitchell aveva descritto meticolosamente nel suo romanzo, basti pensare all'amore di Rossella per Tara, inculcato da suo padre, Gerald O'Hara, secondo il quale
la terra è la sola cosa per cui valga la pena di lavorare, di lottare, di morire, perché è la sola cosa che duri
e che obiettivamente la Ripley amplia, estende, centralizza, perfettamente in linea con il carattere forte della sua protagonista. Il sentimento di attaccamento alle radici e alla storia degli O'Hara spingerà addirittura Rossella a partire per l'Irlanda, patria natia del padre, e a fondare una nuova città sulle macerie del primo nucleo della sua famiglia, Ballyhara, di cui diverrà Padrona e Signora, amata e rispettata. Dotata della sua ormai leggendaria forza di volontà, riparte da zero, stringendo nelle mani un pugno di terra (proprio come fece anni prima, di fronte a una Tara distrutta e inaridita dalla Guerra di Secessione) e costruendosi un vero impero dove i contadini irlandesi potranno rifugiarsi al riparo dall'eterna guerra civile contro gli inglesi.

La notte di passione con Rhett prima di partire per Savannah, tuttavia, ha dato i suoi frutti e Rossella scopre di essere incinta. Convinta che il figlio che porta in grembo possa convincere definitivamente Rhett a tornare sui suoi passi, decide di informare il marito, ma invano: l'uomo ha divorziato e si è risposato con una donna di Charleston, Anne Hampton, simile in tutto e per tutto all'amata amica Melania. Rossella, sempre più sola, decide di dimenticare per sempre Rhett e costruirsi una nuova vita a Ballyhara, aiutata dal cugino Colum, prete, ma segretamente a capo di un movimento di insurrezionisti per la libertà dell'Irlanda. Rossella si trasferisce nella Grande Casa, antica dimora irlandese abbandonata che trasforma in una vera e propria reggia, e viene aiutata da Miss Fitzpatrick, una giunonica signora consigliatale da Colum che si prenderà cura della casa. Il forte senso di superstizione che anima gli irlandesi permette a questo punto all'autrice di inserire un elemento assolutamente estraneo e, apparentemente, fuorviante: il soprannaturale. Leggenda vuole che gli irlandesi, durante la notte di Ognissanti, si barrichino in casa per scacciare gli spiriti maligni liberi di circolare indisturbati. Rossella, che si è perfettamente integrata negli usi e costumi dei suoi antenati, si troverà tuttavia ad affrontare un momento difficile proprio la notte del 31 ottobre, in cui dà alla luce Katie Colum, sua figlia. Ed essendo praticamente sola e abbandonata al suo destino, trova l'unico aiuto in una vecchia fattucchiera, senza l'intervento della quale la nostra eroina avrebbe incontrato morte certa. Da questo momento in poi, al rispetto e alla venerazione per la "O'Hara", negli animi degli irlandesi si sostituiscono il dubbio, la paura, l'orrore: la figlia di Rossella nata per mano della strega del paese è uno spirito maligno, capace di influire sulle condizioni meteorologiche e rovinare stagioni intere di raccolti. E mentre la guerra civile imperversa e si avvicina sempre più a Ballyhara, Rossella si lascia conquistare dall'aristocrazia inglese, partecipa a feste e battute di caccia, viene ricevuta alla corte del Vicerè e, sotto le istruzioni di Charlotte Montagne, diviene una perfetta "lady", inimicandosi sempre più i contadini irlandesi, immensamente delusi dal tradimento della loro Signora. Le attenzioni di un conte spavaldo, arrogante e tremendamente somigliante nei modi e nell'aspetto a Rhett, infine, sembreranno sancire definitivamente l'inizio di una nuova, ennesima vita di Rossella O'Hara...

Caratterizzato da uno stile tipico del romanzo rosa, non privo tuttavia di passaggi rapidi e incalzanti, il libro non si distacca mai più di tanto dalla psicologia di Rossella perfettamente delineata nelle pagine del testo di Margareth Mitchell. Capricciosa, testarda, orgogliosa, egoista, divertente, affascinante, Rossella cerca in ogni modo di sopravvivere in un mondo che non le appartiene, popolato da persone ipocrite e moraliste e governato da regole e dettami di vita che le stanno fin troppo stretti. Nonostante Rhett sia costantemente presente nella mente della protagonista, il suo personaggio vive di apparizioni più o meno fugaci nella penna della scrittrice, ma a ritmo piuttosto regolare, impedendo a chi legge di pensare che il cuore della giovane possa essere definitivamente conquistato da un altro uomo.

Attorno ai due ruotano centinaia di personaggi, molti dei quali secondari, ma il ritratto del cugino Colum e la sua dicotomia "uomo di Chiesa/fervido combattente in difesa dell'Irlanda" ci regalano un carattere in perenne bilico tra il Bene e il Male, fortemente legato da un amore a tratti più che spirituale nei confronti di Rossella, nobile d'animo ma irascibile, e soprattutto fermo nei suoi propositi, al punto da esercitare una notevole dipendenza sulla cugina.

La dinastia O'Hara di Savannah offre lo spunto per approfondire il tema della grande famiglia, che si raduna ogni settimana in una casa diversa e, tra canti, poesie, racconti e infinite tavolate di cibarie di ogni tipo, emana calore, allegria, serenità, affetto, spensieratezza e profondo rispetto per le proprie origini, sentimenti e sensazioni che Rossella aveva quasi completamente dimenticato.

In definitiva, sebbene il valore prettamente letterario non sia minimamente paragonabile a quello del suo predecessore, "Rossella" offre un quadro se non altro originale e per molti versi interessante degli anni successivi agli eventi narrati da Margareth Mitchell in "Via col vento", rispecchiando perfettamente il carattere turbolento e appassionato della sua eroina, chiamata ad affrontare peripezie e difficoltà di fronte alle quali si mostrerà sempre all'altezza. E di questo sarebbe alquanto impossibile dubitare.

sabato 3 marzo 2012

CINEMA
The Artist

Titolo originale The Artist
Paese di produzione Francia
Anno 2011
Durata 100 min
Regia Michel Hazanavicius
Sceneggiatura Michel Hazanavicius
Fotografia Guillaume Schiffman
Montaggio Anne-Sophie Bion, Michel Hazanavicius
Musiche Ludovic Bource
Scenografia Laurence Bennett, Gregory S. Hooper
Costumi Mark Bridges
Cast Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller, Missi Pyle, Joel Murray, Ed Lauter, Malcolm McDowell, Beth Grant

Ascesa e declino di un divo del cinema muto.

Siamo a Hollywood, nel 1927. George Valentin è il sogno di ogni ragazza: affascinante, avvenente, fortemente espressivo. È lui il protagonista maschile ideale di ogni pellicola in bianco e nero dell'epoca. Tra le tante fanciulle che si invaghiscono dell'attore, Peppy Miller è sicuramente quella più intraprendente. Finita quasi per caso sulla prima pagina di "Variety" insieme al suo beniamino, la ragazza inizia a farsi largo nel mondo del cinema, divenendo nel giro di un paio d'anni l'attrice femminile più richiesta e ammirata. Ma il 1932, anno dell'avvento del sonoro, cambia le sorti dei due giovani protagonisti, e se da una parte Peppy, giovane, fresca e intraprendente, si amalgama perfettamente alla nuova tecnica cinematografica, dall'altra George si rifiuta di arrendersi al progresso, investe tutti i suoi averi nella produzione di un film muto tutto suo e, complice la Grande Depressione, cade in disgrazia ed è costretto a vendere tutti i suoi beni all'asta...
Tutto funziona alla perfezione in questo piccolo gioiello cinematografico vincitore di 5 premi Oscar (Miglior film, Migliore regia, Miglior attore protagonista, Miglior colonna sonora, Migliori costumi). Dalla scelta dei protagonisti, che spaziano da un immenso Jean Dujardin, novello (ma neanche troppo) Clark Gable che deve aver sudato sette camicie nel tentativo (perfettamente riuscito) di riprodurre mimica facciale, movimenti e atteggiamenti dei grandi divi del muto, al burbero John Goodman, produttore che ricorda da vicino, fisicità a parte, il Selznick dei tempi che furono, fino a Uggie, il fedele Jack Russel, spalla perfetta di Dujardin. Un po' fuori parte Bérénice Bejo, l'unico membro del cast a ricordare, di tanto in tanto, che stiamo assistendo a un film del 2011. Anche grazie a una frequenza più bassa dei fotogrammi per secondo, 22 invece dei consueti 24, sembra in effetti di assistere davvero a una pellicola degli anni ruggenti, con atmosfere, costumi e interpretazioni perfettamente curati fin nei minimi dettagli. Di fronte a un film muto, la colonna sonora di Ludovic Bource merita una menzione particolare, accompagnando perfettamente la pellicola nei momenti più allegri, ma anche in quelli più romantici o malinconici.
In un'era contraddistinta da effetti speciali, 3D ed esplosioni in celluloide, lascia veramente a bocca aperta la capacità di Hazanavicius di regalare al pubblico un film sussurrato, elegante, totalmente visivo, al punto che per 100 minuti di durata sono sufficienti circa una ventina di sottotitoli: il resto è perfettamente convogliato da immagini ed espressioni di puro talento, per un film il cui unico rammarico, a titolo personale, è che non sia finito 10 secondi prima, sui sospiri dei due protagonisti, al termine di un numero di ballo davvero sbalorditivo.

giovedì 23 febbraio 2012

GIALLO & TV
6 passi nel giallo - Presagi

Non parte sicuramente in quarta la nuova serie TV in 6 puntate diretta da Edoardo Margheriti, Lamberto e Roy Bava e lanciata con l'intenzione di ridare lustro a un genere che, soprattutto negli ultimi anni e grazie alle recensioni entusiastiche di Quentin Tarantino, vero appassionato dei thriller all'italiana anni '60 e '70, torna a essere un prodotto di nicchia particolarmente apprezzato e presente nelle videoteche personali di molti, giovani e non, italiani e stranieri. "Presagi", diretto da Lamberto Bava, è il primo di sei film per la TV che vede come protagonista Andrea Osvart nel ruolo di una medium che, dopo aver sognato l'omicidio di una bambina incredibilmente somigliante a sua figlia, inizia a collaborare con un ex agente dell'FBI (Craig Berko).
E se le scene di azione sono poche, ma tutto sommato ben realizzate per un prodotto televisivo, ad esempio quelle in cui il solito maniaco in impermeabile e cappello a tesa larga insegue le sue vittime con movenze leopardesche  (impossibile non pensare a "Cat People", ma anche a "La casa dell'orco", uno dei primi film per la TV sempre di Bava), è proprio la qualità da prodotto TV a prendere il sopravvento, con attori spesso eccessivamente sovraesposti nel tubo catodico e doppiaggi al limite del ridicolo (inspiegabile la continua presenza sullo schermo di Roberto Zibetti, la cui voce aveva già contribuito a devastare quel "Nonhosonno" di Argento che avrebbe meritato una maggiore attenzione). Qualche citazione per i più appassionati del genere (l'inquietante bambina che osserva l'interno della casa dal vetro di una finestra ricorda molto da vicino la giovanissima protagonista di "Operazione paura" del grande Mario Bava, ma l'impermeabile rosso è quello del nano assassino di "A Venezia un dicembre rosso shocking", mentre la ragazza cieca sulla spiaggia accompagnata dal fido pastore tedesco è un chiaro omaggio a "L'aldilà" di Fulci) non toglie comunque allo spettatore la sensazione di aver assistito a un prodotto di buona fattura, ma pesantemente penalizzato da una produzione edulcolorata e adatta, nonostante il tema, a tutta la famiglia.

La serie prosegue con:

Sotto protezione (29 febbraio)
Souvenirs (7 marzo)
Gemelle (14 marzo)
Omicidio su misura (21 marzo)
Vite in ostaggio (28 marzo)


giovedì 16 febbraio 2012

MOVIE MAGIC
Shame

2.45 minuti di note di "New York, New York" in versione jazz quasi sussurate da Carey Mulligan al fratello, Michael Fassbender, sui cui occhi scorrono girandole di incantevoli emozioni. L'essenza del film.

LIFE
Io e una maschera

Non mi era mai successa una cosa del genere.
Passeggio quasi tranquillo e quasi beato su viale Regina Margherita per un appuntamento di lavoro. Arrivo in anticipo e decido di allungare un po' per andare a fare colazione. La giornata promette bene, il sole scalda le ossa dopo lunghissime settimane di freddo pungente. Attraverso la strada e dall'altra parte mi attende questa maschera che vedete qui a fianco. Un "artista" di strada che di artista aveva ben poco. Una maschera di carnevale sul viso, una coroncina in testa, un sacco verde che ricopre tutto il corpo. Mi ricorda la Statua della Libertà. Mi aspetto quello che si aspettano tutti quando incontrano le maschere per strada, ovvero che rimangano immobili, impietrite, come statue. E invece no. La maschera ad ogni persona che le passa davanti alza una manina timida e saluta. Nient'altro. Io non so cosa mi abbia preso. Non ho idea di chi si nascondesse sotto quella maschera. Non so nemmeno se fosse un uomo o una donna, giovane, adulto, anziano. So solo che quel gesto, timido, sconnesso, fuori luogo per un'attrazione da strada, mi ha stretto una morsa nel cuore. Ho percepito una persona sola, che forse non sa nemmeno perché si trovi lì. Che forse non sa fare altro, se non alzare la mano e salutare. So solo che avrei tanto avuto voglia di andarle vicino, abbracciarla, dirle che non è sola, almeno in quel momento. Probabilmente non mi ha neppure notato. Ha continuato a salutare le altre persone che passavano, indistintamente. Io invece quella maschera me la sono portata fino a casa. E ora scrivo di lei, ovunque sia.

sabato 11 febbraio 2012

MUSICA
R.I.P. Whitney


Pubblico quella che secondo me è la sua canzone più bella. Spero di non dover sentire troppi moralizzatori nei prossimi giorni. La più grande voce della Musica, morta il giorno dei Grammy Award. Ora riposati, te lo sei meritato.

sabato 4 febbraio 2012

LIFE
S come Sintonia

Sillabazione:
【sin-to-nì-a】

Definizione e Significato:
1 - Fisica, Identità di frequenza tra grandezze o fenomeni periodici ‖ mettere in sintonia, nelle telecomunicazioni, accordare il circuito ricevente con quello trasmittente ‖ comando, indicatore di sintonia, in apparecchi radiofonici o televisivi, dispositivo che permette di scegliere la stazione trasmittente desiderata accordandosi con la frequenza d'onda corrispondente.
2 - Figurativo, Armonia, accordo: essere in sintonia con i tempi

Come faccio a scrivere un post sensato sulla "sintonia" se anche il dizionario la relega al secondo posto, descrivendola con 8 semplici parole?

Dunque. La sintonia è quella corrispondenza d'amorosi sensi (cit.) che scatta tra due persone che condividono passioni, interessi, punti di vista. Presuppone una certa conoscenza reciproca che permetta di andare al di là del semplice, anche se pur sempre piacevole, scambio di opinioni, battute e una serie di elementi che rendono misteriosamente interessante un'altra persona.
Quella non si chiama "sintonia", si chiama semplicemente "curiosità".

Proprio per sua natura, la sintonia è un'armonia astratta, priva di qualunque connotazione fisica o chimica. Richiede tempo, interesse, costanza. Richiede l'abbandonarsi a sensazioni che ci fanno pensare che, sì, una persona può percorrere un percorso di vita con un'altra e non si esaurisce nell'arco di 48 ore.
Quella non sia chiama "sintonia", si chiama "compensazione alla monotonia".

La sintonia riesce a unire le persone più disparate, permettendo di costruire giorno per giorno un rapporto forte, complice, quasi esclusivo. E ci illudiamo se pensiamo anche solo per un istante di poterla trovare nel primo personaggio che ci si para davanti nella nostra vita, ma ci consente, fortunatamente, di non lasciarlo fuggire nel momento in cui individuiamo il nostro eventuale compagno di vita, che nella maggior parte dei casi diventa un caro amico, se non un compagno. E non richiede certo di attraversare l'intera città a piedi, sommersi dalla neve, pur di vedere l'oggetto della nostra sintonia.
Quella non si chiama "sintonia", si chiama "impellenza di esplicare le nostre funzioni fisiologiche".

La sintonia, infine, prescinde dall'aspetto fisico. Prescinde dall'immagine che proiettiamo di una persona nel momento in cui, non avendola ancora conosciuta, abbiamo a disposizione solo una fotografia sfocata. Tanto è vera questa definizione, che una vera e profonda sintonia non impedisce a due persone che fisicamente possono non trovarsi attraenti di andare a mangiare una pizza o discutere di libri, cinema o musica davanti a un bicchiere di vino, con uno scambio continuo di sorrisi e il calore nel cuore.
Quella non si chiama "sintonia", si chiama "scarto del pezzo meno appetitoso al banco della macelleria".

A tale scopo, evitate figuracce in pubblico. Utilizzate con molta cautela questa parola.
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