sabato 31 dicembre 2016

CINEMA
Una Magnum special per Tony Saitta


A pochissimi anni da quell’Anticristo riconosciuto come una delle pellicole cardine della sua cinematografia, se non addirittura il suo apice, Alberto De Martino firma, con lo pseudonimo Martin Herbert, Una Magnum special per Tony Saitta, giallo rocambolesco, ma tutto sommato godibile dopo il tentativo solo in minima parte riuscito di L’assassino… è al telefono del 1972, pellicola trascurabile da segnalare per la presenza di Telly Savalas, il tenente Kojak televisivo e, per gli amanti del cinema di genere, l’Antagonista per eccellenza nel baviano Lisa e il diavolo.

La trama ruota attorno a una serie di omicidi il cui unico legame sembra essere una preziosa collana, sottratta a una ricca signora di Toronto brutalmente assassinata. Le indagini sono nelle mani di Tony Saitta, fratello della prima vittima del film, misteriosamente avvelenata durante un party. E se i sospetti ricadono inizialmente su un medico che aveva una relazione clandestina con la ragazza, i delitti continuano a susseguirsi apparentemente senza un filo logico, ad eccezione della suddetta collana: dove conduce esattamente la scia di sangue lasciata dall’assassino?

In bilico tra il giallo classico e il poliziesco all’italiana, in un vortice di inseguimenti mozzafiato, scazzottate all’ultimo sangue, dettagli macabri (su tutti, il ritrovamento del cadavere mutilato di una vittima all’interno di una schiacciatrice) e, colpo di genio!, una magnifica rissa tra il detective e tre travestiti potenzialmente invischiati nei delitti, Alberto De Martino confeziona un film più che dignitoso, dove la mancanza di veri colpi di scena è sopperita da un ritmo adrenalinico e un montaggio spericolato, che garantiscono un’ora e quaranta minuti di intrattenimento per una pellicola sicuramente non memorabile, ma senza dubbio di gradevole fattura.

Stuart Whitman nel ruolo del protagonista svolge il suo compito in modo diligente, ma è Martin Landau, pietra miliare del cinema d’oltreoceano, nonché premio Oscar 1995 come Miglior attore non protagonista per Ed Wood, la vera sorpresa del film. Piuttosto marginali John Saxon nei panni del sergente Matthews e un’inedita Tisa Farrow, questa volta non propriamente a suo agio nei panni di Julie, amica non vedente della prima vittima (se la caverà meglio diretta da Massaccesi e Fulci nei cult Antropophagus e Zombi 2).



Già pubblicato su Cinema Italiano Database.

venerdì 30 dicembre 2016

CINEMA
Vacanze di Natale


Sulla scia del grande successo di Sapore di mare, gradevolissima commedia sugli amori e i divertimenti di un gruppo di giovani provenienti da tutta Italia che trascorrono l’estate del 1964 a Forte dei Marmi, i fratelli Vanzina cambiano periodo dell’anno (Natale), ambientazione (Cortina) e periodo storico (contemporaneo) e creano il fenomeno di massa denominato “cinepanettone”. E fa sicuramente un certo effetto vedere come negli anni questo “genere” cinematografico si sia evoluto (ma sarebbe più appropriato dire “involuto”) mantenendo leggerezza e spensieratezza, ma perdendosi per strada un certo limite di buongusto, una caratterizzazione più efficace dei personaggi e la capacità, sempre e comunque, di strappare una risata anche senza scadere in eccessive volgarità.

Gli ingredienti della “nuova” commedia all’italiana sono tutti ben amalgamati: c’è Billo, playboy che suona al piano bar dell’albergo di Cortina attorno al quale ruotano le vicende del film, c’è la famiglia di ricchi costruttori edili Covelli (esilaranti Riccardo Garrone e Rossella Como), raggiunti dal figlio Christian De Sica insieme alla sua nuova fidanzata americana (la compianta Karina Huff), contrapposta alla famiglia romana dei Marchetti, rozzi, simpatici e alla mano, capitanati dal solito Mario Brega in splendida forma. C’è la famiglia di Donatone Braghetti, milanese arricchito sposato a un’annoiatissima Stefania Sandrelli, ex fiamma di Billo e amica di Grazia Tassoni, una Marilù Tolo frizzante e sessualmente libera in uno dei suoi ultimi ruoli sul grande schermo. La spensieratezza e i festeggiamenti del periodo natalizio rappresenteranno un’occasione più che propizia per scatenare una serie di equivoci, tradimenti e momenti di esilarante comicità tipici del lusso, della sfrontatezza e della leggerezza della commedia all’italiana degli anni ’80.

Grande successo al botteghino, il film si avvale di un cast praticamente perfetto, che unisce grandi nomi del cinema italiano a nuove promesse, belle ragazze e playboy incalliti, con un’ambientazione che a distanza di oltre 30 anni continua a divertire, intrattenere e rappresentare alla perfezione lo sfarzo e la leggerezza di un periodo storico, quello degli anni ’80, che nel bene e nel male ha segnato usi e costumi del popolo italiano in modo viscerale e anticonformista, nel suo inevitabile conformismo.

Vanzina replicherà il successo natalizio l’anno successivo con Vacanze in America, ma il vero filone inizierà a svilupparsi solo 6 anni dopo, con Vacanze di Natale ’90, per la regia di Enrico Oldoini, nel cui cast andrà ad aggiungersi Massimo Boldi, presenza fissa dei cinepanettoni degli anni a venire.



Già pubblicato su Cinema Italiano Database.

lunedì 8 agosto 2016

LIFE
Ali

Io da qualche parte le ali devo averle, ne sono più che sicuro.
Ce le hanno tutti. Ce le hanno sempre avute tutti.
A volte si spezzano, a volte funzionano male, a volte cadono proprio.
Qualcuno se ne è servito per volare talmente in alto da superare i propri limiti.
Io le mie non le ho mai viste, e non perché dovrebbero essere alle mie spalle.
Temo che non siano ancora spuntate. Mi auguro solo che ci mettano tutto questo tempo per portarmi davvero in alto. Che crescano belle forti e resistenti. Che mi aiutino a salire, anche a scendere in picchiata, qualche volta, per poi farmi mancare il fiato dall'emozione quando mi riporteranno ancora più su.
Perché volare deve essere davvero emozionante, così mi dicono e così percepisco.
A volte questo imperdonabile ritardo mi fa un po' paura, e farà paura anche a qualcun altro, lo capisco. Però, dopo tutta questa attesa, sono certo che volare sarà ancora più bello, perché alla spensieratezza aggiungerò la saggezza del tempo che è trascorso e la consapevolezza di quello che ancora avrò davanti.
Ne varrà la pena. È l'unica cosa che mi permette di continuare a stare a seduto ad aspettare che escano da sole, queste ali, anziché mettermi a scorticare la schiena per tirarle fuori se non sono ancora pronte.

mercoledì 29 giugno 2016

LIFE
Anaffettivi anALPHAbeti


Quanta acqua scorre tra un “Zitta, troia!” e un “Muori, frocio di merda!”?
Nemmeno una goccia.
Fa comodo non vederlo, non farci caso, far finta di nulla, ma entrambe le espressioni sono figlie dello stesso tumore civile: il maschilismo.
Quel maschilismo che nasce in famiglia, tutti riuniti amorevolmente davanti alla TV (mamme comprese) a guardare sfilate di seni e fondoschiena in bella vista, con il bimbo imbarazzato che guarda il padre con un’espressione mista tra il divertito, l’eccitato e l’imbarazzato, e il padre che, con sguardo fiero e imperioso, ammicca al figlio con un occhiolino, scuotendo leggermente la testa divertito in direzione della televisione. “Quella, figlio mio, è una femmina”, sembra dirgli. “Una femmina umana accogliente e subito pronta. Nata per essere castigata”.
E poco importa se il bimbo, dopo qualche anno, si ritrova in un gruppo di altri ragazzi come lui senza che nessuno di loro si fermi un secondo a riflettere sul fatto che “Cazzo, stiamo stuprando una ragazzina!”
Poco importa se, di fronte a una discussione con una donna, quel giovane non troverà di meglio che darle della “troia”, azzerando in un attimo qualsiasi tentativo costruttivo di critica e relegando a semplice meretrice il ruolo della sua interlocutrice.
Poco importa se, crescendo, quel ragazzino scoprirà che quel fondoschiena e quei seni non sono poi così interessanti, perché ricorderà le parole della sua famiglia, quella secondo cui “un uomo è uomo solo se ficca”.
Importa poco, sì, perché di fronte a gesti inconsulti e bestiali come un branco che stupra una ragazzina ci sarà sempre un padre o una madre del genere “alpha” che sarà pronto a perdonare la “ragazzata” (cit.) dei loro figli.
L’importante è incastrare la giusta combinazione “pene+vagina”, condannare la sgualdrina di turno perché “poteva evitare di essere così provocante e girare in minigonna” (d’altronde, sono numerosissimi i casi di violenza attuati da lesbiche nei confronti di tante donne in minigonna, no?), storcere il naso di fronte al Gay Pride perché “va bene tutto, ma certe cose fatele a casa vostra, altrimenti cosa spiego a mio figlio?”.

A parte che, come ho già ribadito più volte, il problema di elargire spiegazioni ai vostri figli è solo vostro, ma magari spiegategli come accade che uno o più maschi costringano una ragazza a subire uno stupro.
Spiegategli perché in televisione vengono sbattuti così tanti clitoridi in primo piano.
Spiegategli perché i gay non possono sfilare a torso nudo su un carro ma le ragazze che procacemente mettono in mostra la loro mercanzia sì.
Spiegategli come mai un ragazzino è stato picchiato a morte dai suoi compagni: pensate potrà bastar loro la spiegazione “Preferiva giocare con le Barbie anziché con i soldatini”?
Beh, sappiate che se per loro dovesse essere sufficiente, avete fallito. Come padri, come uomini, come esseri umani. E hanno fallito anche le donne al vostro fianco, spesso in prima fila a condannare la libertà altrui e ad appoggiare le teorie secondo cui “se l’è andata a cercare”, “l’uomo lavora, la donna a casa a pulire” e “se avessi un figlio gay lo sbatterei fuori di casa”. Donne la cui memoria corta impedisce loro di riconoscere che nasciamo liberi e con gli stessi diritti. Diritti di amare, di essere rispettati, persino di mostrare un capezzolo o una chiappa al vento, una volta ogni tanto.
State consegnando ai giovani un futuro (e un paese) disperato, ma a voi poco importa.
L’importante è che lo affrontino a testa alta e cazzo dritto.
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